Ripensare il capitalismo: è tempo di nuove politiche

Il 28 febbraio, nella sede nazionale della UIL, all’interno della cornice della rinnovata sala Buozzi, si è svolto un convegno dal titolo eloquente: “Ripensare il capitalismo”. Un’occasione di discussione importante su un tema centrale per uno sviluppo economico e sociale più equo e sostenibile, ma anche il momento per presentare i risultati di una ricerca promossa dalla UIL e realizzata insieme ai professori Elisa Giuliani e Simone D’Alessandro, del Dipartimento Remarc dell’Università di Pisa. Ha tratto le conclusioni di una discussione animata e interessante il Segretario generale della UIL Pierpaolo Bombardieri.

IL RAPPORTO STATO-IMPRESA
La necessità di “ripensare” o “re-immaginare” il capitalismo – si legge nel report – emerge a livello internazionale, perché il modello attuale, impostato sulla crescita economica come elemento trainante, ha sì ridotto la povertà e consentito un processo di convergenza economica tra Paesi, ma ha anche dimostrato alcuni limiti importanti che sono diventati meritevoli di attenzione dal punto di vista delle policy. La crescita economica osservata negli ultimi quaranta anni nelle principali economie mondiali si è basata fortemente su un modello di impresa che ha fatto free riding su diritti e ambiente. In altre parole, una visione di impresa improntata alla massimizzazione del profitto a vantaggio dei soli azionisti ha permesso alle aziende di non internalizzare i costi socio-ambientali delle loro operazioni (esternalità negative), lasciando che questi ricadessero su governi e cittadini in senso più lato. Per questo motivo, si parla oggi della necessità di ripensare il capitalismo e si discute su come far sì che le imprese si assumano i costi di una gestione più responsabile dal punto di vista socio-ambientale. Questo implica la necessità di dare vita ad un capitalismo in cui le imprese sono chiamate a fare profitti e a crescere senza distruggere l’ambiente o sfruttare il lavoro. A questo problema si aggiunge un secondo elemento di preoccupazione, che riguarda l’indebolimento degli Stati a fronte di una crescente concentrazione del potere economico, e dunque anche politico, in poche imprese su scala mondiale. Serve quindi un ribilanciamento del rapporto stato-impresa, soprattutto con riferimento alle grandi imprese.

LA GIUSTA TRANSIZIONE
La transizione giusta richiede un intervento urgente dei governi nel proporre nuove politiche sociali che possano garantire la resilienza del sistema stesso e una evoluzione che garantisca l’equità. Non manca la consapevolezza che i cambiamenti strutturali veicolati dai nuovi investimenti necessitino di essere accompagnati da strategie volte a difendere la coesione sociale e fare sì che gli incrementi di produttività in alcuni settori non determinino sperequazioni tra categorie di lavoratori e un ulteriore aumento delle diseguaglianze.
In quest’ottica, la politica industriale gioca un ruolo cruciale all’interno delle politiche di transizione eco-sociale messe in campo dai governi, andando a condizionare i processi che, tramite il mercato del lavoro, aprono opportunità di reddito e di realizzazione personale. Ma occorre una visione sistemica capace di coordinare le politiche sociali necessarie per prevenire e ridurre gli impatti sociali avversi della transizione ecologica, con lo sviluppo di una nuova industria orientata a produrre un benessere diffuso in un modo ecologicamente sostenibile.

LE RELAZIONI DEI PROF
Le relazioni dei Professori hanno seguito due separati filoni. La prima del prof. Simone D’Alessandro poneva linee guida per una politica economica per una transizione giusta, proponendo nello specifico: la riduzione dell’orario di lavoro, il salario minimo, un reddito di emergenza di livello pari a quello minimo dei contratti nazionali di categoria per permettere la riqualificazione dei lavoratori esclusi dalle trasformazioni del mercato del lavoro, un reddito di base universale, di livello analogo a quello del Reddito di cittadinanza italiano; la seconda relazione della professoressa Elisa Giuliani è stata incentrata sulle problematiche per una nuova politica industriale, evidenziando come i cambiamenti non possano perseguirsi semplicemente direzionando le politiche a favore di tecnologie o settori green.

LE CONCLUSIONI DI BOMBARDIERI
A concludere il dibattito è intervenuto il segretario generale della UIL Pierpaolo Bombardieri, che ha rimarcato la necessità di costruire un modello produttivo più equo e giusto, che riduca in maniera drastica le disuguaglianze, ribadendo la necessità del confronto e del dibattito per trovare soluzioni a problemi complessi.
Bombardieri è intervenuto sull’orario di lavoro, che a suo giudizio si può diminuire a parità di salario, al fine di conciliare in maniera più virtuosa i tempi di vita e di lavoro; sulla possibilità del salario minimo ma sempre a patto che venga vincolato ai minimi stabiliti dai collettivi nazionali.
Il ruolo del sindacato – ha proseguito Bombardieri – è proprio quello di cercare di far pressione sulle scelte politiche, tentando di influenzarle al fine di costruire una società più inclusiva e quindi giusta socialmente.

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