Acciaierie d’Italia: no all’accordo di programma, i lavoratori vogliono un futuro occupazionale

“Via da Taranto, via da Taranto”. Con questo coro e le bandiere blu sventolate nel cielo di Roma è iniziata la manifestazione sotto il Ministero delle Imprese e del Made in Italy il 19 gennaio scorso. Circa 700 lavoratori dell’ex Ilva hanno letteralmente invaso via Molise contestualmente allo sciopero che ha avuto un’adesione del 60% nello stabilimento jonico del siderurgico e all’appuntamento tra i Segretari generali e il Ministro Adolfo Urso. Un incontro che si è trasformato ben presto in un vero e proprio scontro tra lo stesso Ministro, il Sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, il Presidente di Regione Michele Emiliano, l’ad di Accierie d’Italia Lucia Morselli e i sindacati. Il motivo? Un paventato accordo di programma su cui erano tutti d’accordo, tutti tranne i rappresentanti dei lavoratori.

Rocco Palombella e Davide Sperti con i lavoratori dell’ex Ilva

L’ACCORDO DEL 2018
“Oggi non siamo andati al Ministero per parlare di accordo di programma – ha subito detto il Segretario generale Uilm, Rocco Palombella, senza tentennamenti – c’è bisogno di portare la discussione sulla terra, tra comuni mortali. Noi nel 2018 abbiamo fatto un accordo, l’unico sottoscritto dal sindacato, dove abbiamo stabilito 3.700 esuberi per 10.700 assunti in AMI con alcune garanzie: zero cassa integrazione per gli assunti. Eppure, pochi mesi dopo è partita la cassa integrazione. Era stato stabilito il tetto di 6 milioni di tonnellate di produzione come indispensabile per l’equilibrio finanziario, livello di produzione mai raggiunta”.
Anzi, a dire il vero il quadro è drammatico: la produzione è passata da 8 milioni e mezzo del 2011 a 3 milioni nel 2022, anno in cui l’acciaio ha battuto ogni record nel mondo (tranne che in Italia).
Come se non bastasse, a marzo dello scorso anno è stata concessa la cigs per 3mila lavoratori, senza accordo sindacale. “E che fine fanno i 1.700 lavoratori di Ilva in AS e i 2mila dell’appalto? – si domanda Palombella – Tutto questo porta alla chiusura prima dell’area a caldo e poi di tutti gli stabilimenti. Sulla pelle dei lavoratori non si scherza”.

TUTTI A CARICO DELL’INPS
Per riepilogare e dare l’idea delle condizioni in cui versa l’ex Ilva, sono in cassa integrazione attualmente 3mila lavoratori di Acciaierie d’Italia, 1.700 di Ilva in AS e 2.500 dell’indotto per un totale di 7.200 lavoratori. Tutti a carico dell’Inps!  
La produzione di acciaio, nel frattempo, anziché aumentare si è ridotta ai minimi termini.
Attualmente ci sono due altoforni in marcia (1-2), una sola acciaieria in funzione con la stragrande maggioranza degli impianti a freddo fermi (tubifici, laminatoi, ecc).
Com’è scritto nella richiesta di cassa integrazione straordinaria dello scorso marzo: “Volumi di circa 6 milioni di tonnellate non sono sufficienti a garantire l’equilibrio e la sostenibilità finanziaria degli oneri derivanti dell’attuale struttura dei costi”. Figuriamoci i tre milioni del 2022!
Inoltre, il canone di fitto è stato prima dimezzato e successivamente sospeso (180 milioni iniziali).

ULTIMO DECRETO SALVA ILVA
All’incontro Urso, rispondendo ad alcune domande, ha ribadito la possibilità per tutti di poter intervenire per tentare di far modificare il decreto legge 2/2023 “Impianti di interesse strategico nazionale”. A tal proposito Palombella il 24 gennaio ha spiegato come stanno le cose alla 9° Commissione del Senato: “A nostro avviso appaiono con evidenza le inadempienze contrattuali del socio di maggioranza, l’unica certezza sono i quattro anni di gestione fallimentare che hanno dimezzato i livelli occupazionali, dimezzato la produzione e bruciato miliardi di risorse pubbliche. L’unica soluzione – continua il leader Uilm – per evitare l’ulteriore sperpero di denaro pubblico e un disastro ambientale e occupazionale non governato, è quella di vincolare i 750 milioni al contestuale cambio di maggioranza. In alternativa, ci sarebbero a nostro avviso le condizioni affinché lo Stato si riappropriasse del bene strategico per evidenti inadempienze contrattuali”.

LA LOTTA CONTINUA
Secondo Palombella ArcelorMittal non ha rispettato una sola cosa da quando è arrivata e i lavoratori hanno perso la fiducia (lo dimostra anche il recente referendum in cui oltre il 90% dei lavoratori ha chiesto il cambio di governance). “Taranto ha bisogno di occupazione e di futuro, per questo è arrivato il momento dii affidare agli avvocati il rispetto dell’accordo del 2018. Io la parola fine non la scriverò mai. Lotterò fino all’ultimo lavoratore”, conclude.
Lunedì 30 intanto è fissato un primo incontro con Accierie d’Italia, si terrà alle 14 a Confindustria.

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