Il nuovo protocollo anticontagio nelle aziende

di Andrea Farinazzo

Non vi è alcun dubbio che il nuovo Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro sia il risultato di un confronto che, al di là del contrasto e contenimento della diffusione del COVID-19, si spera possa permettere in futuro anche un migliore “radicamento della prevenzione efficace nel mondo del lavoro”. Del nuovo protocollo, che aggiorna e rinnova i precedenti e che prevede nella data del 31 ottobre 2022, termine entro il quale rivedere le misure prevenzionali introdotte, abbiamo già presentato diverse parti: la modalità di ingresso nei luoghi di lavoro; la pulizia e sanificazione in azienda; l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie; le precauzioni igieniche personali; la sorveglianza sanitaria; le indicazioni per il lavoro agile e i lavoratori fragili.

L’aggiornamento nelle aziende del protocollo anti-contagio
In premessa si indica che “in continuità e in coerenza con i precedenti accordi sottoscritti dalle Parti sociali” (14 marzo 2020, 24 aprile 2020, 6 aprile 2021), il Protocollo condiviso “ha l’obiettivo di fornire indicazioni operative aggiornate, finalizzate a garantire negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19”. Il virus SARS-CoV-2/COVID-19 – si sottolinea – “rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione”. Il Protocollo contiene “misure che seguono la logica della precauzione” e i datori di lavoro dovranno “aggiornare il Protocollo condiviso di regolamentazione all’interno dei propri luoghi di lavoro, applicando le misure di precauzione” elencate, “da integrare con altre eventuali equivalenti o più incisive secondo le peculiarità della propria organizzazione, previa consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali e sentito il medico competente”. Non bisogna perdere di vista che il punto 13 è dedicato all’aggiornamento del protocollo. In particolare si indica, in modo non dissimile a quanto già indicato in precedenza, che “sono costituiti nelle aziende i Comitati per l’applicazione e la verifica delle regole contenute nel presente Protocollo di regolamentazione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS”. E laddove, “per la particolare tipologia di impresa e per il sistema delle relazioni sindacali, non si desse luogo alla costituzione di comitati aziendali, verrà istituito, un Comitato Territoriale composto dagli Organismi paritetici per la salute e la sicurezza, laddove costituiti, con il coinvolgimento degli RLST e dei rappresentanti delle Parti sociali”. Tenendo presente che sia il precedente Protocollo che l’attuale non recano alcuna scadenza o alcun regime transitorio.
Adesso le imprese sono chiamate, alla modifica del Protocollo, all’evoluzione normativa o scientifica ad aggiornare prima possibile i protocolli aziendali con il coinvolgimento del Comitato del punto 13, ricordando che, come già evidenziato nella premessa del Protocollo fin dalla sua prima stesura del 2020, che ciascuna azienda potrà integrare il proprio documento con misure equivalenti o più incisive.

Le azioni che si reputano più opportune sono:

  • acquistare mascherine di tipo FFP2, laddove il datore di lavoro non ne sia già in
    possesso;
  • organizzare un sistema che garantisca a tutti i lavoratori l’effettiva disponibilità di
    mascherine di tipo FFP2 e ne gestisca e regoli la distribuzione, ricordando che la
    normale durata di una mascherina FFP2 è di circa 8 ore (in assenza di particolare
    deterioramento);
  • diffondere una informativa relativa al determinante passaggio costituito dal punto 6
    del Protocollo relativo, in particolare, ai seguenti punti;
  • salve le ipotesi particolari segnalate dal medico competente o dal RSPP, il nuovo
    obbligo del datore di lavoro è esclusivamente mettere a disposizione di tutti le
    mascherine FFP2;
  • il Protocollo responsabilizza i lavoratori in ordine all’uso corretto della mascherina
    FFP2 almeno nelle situazioni di maggior rischio – i lavoratori sono ovviamente liberi di usarle anche a prescindere di situazioni particolarmente a rischio;
  • il mancato utilizzo della mascherina e le relative conseguenze non sono più
    imputabili al datore di lavoro;
  • il datore di lavoro potrà imporre l’uso della mascherina FFP2 in ipotesi particolari, su
    indicazione del medico competente o del RSPP.

In merito a tutto ciò già vi sono le prime questioni interpretative da inserire nel merito.

Ci sono margini per stabilire nel proprio protocollo aziendale che la FFP2 è obbligatoria o raccomandata solo in determinati contesti o mansioni?

La mascherina non è più obbligatoria nei luoghi di lavoro. Il datore di lavoro la mette a disposizione per permettere al lavoratore di usarla nei luoghi di lavoro. In questo modo il Protocollo rimette a ciascun lavoratore l’onere (e la responsabilità) di proteggersi, previa adeguata informazione. Si tratta del vero cambio di passo del Protocollo rispetto al passato. A fronte della apparente rimessione ai lavoratori di tutte le scelte in ordine all’uso della mascherina, per consentire ai datori di lavoro di gestire situazioni particolari (possibilità che altrimenti sarebbe venuta meno), il secondo capoverso del punto 6 lascia spazio a decisioni aziendali, previa specifica indicazione da parte del medico competente ed il RSPP. È una situazione che non contempla una valutazione dei rischi e che è differente da quella disciplinata, in via generale, nella premessa del Protocollo, che prevede la possibilità di introdurre misure equivalenti o di maggior rigore, dove il Protocollo inserisce questa decisione all’interno del confronto tra le parti (es., a fronte del venir meno dell’obbligo della mascherina, il comitato potrebbe decidere di mantenere obbligatoriamente le chirurgiche laddove i lavoratori non optino individualmente per la FFP2, che comunque deve essere messa a loro disposizione, e laddove non ricorra una situazione di obbligo indicata nella seconda parte del punto 6) In questo caso, invece, manca un riferimento al Comitato, e la decisione è di natura tecnica (specifica indicazione del medico competente o del RSPP), il che non impedisce ovviamente al datore di lavoro di condividere volontariamente il tema all’interno del Comitato.

Nei casi di spazi comuni condivisi e visto il caldo, si può continuare con l’obbligo
di usare la chirurgica piuttosto che raccomanda la FFP2 (che poi nessuno
mette)?

Manca una previsione di raccomandazione, è il Protocollo che fa della FFP2 un utile protezione nelle particolari situazioni indicate nel documento. Il comitato può disciplinare anche l’uso della mascherina chirurgica. A fronte del venir meno dell’obbligo, infatti, la mascherina chirurgica – per quanto non sia più un DPI – diminuisce oggettivamente la diffusione del virus.

Il datore di lavoro deve mettere a disposizione la FFP2 per ciascun dipendente,
con evidente aumento di costi, anche se l’uso è solo raccomandato?

L’azienda deve mettere a disposizione la mascherina, ma dall’altra parte c’è l’obbligo
di rispettare le indicazioni aziendali e di usare correttamente i dispositivi di protezione
individuale (art. 20, Dlgs 81/2008), per cui sarebbe opportuno che l’azienda disciplinasse le modalità con le quali mette a disposizione le mascherine FFP2, ricordando che la mascherina ha una durata media di efficacia di circa 8 ore.

Il nuovo protocollo: informazione e gestione degli appalti

Riguardo al punto 1 “Informazione”, nel testo non è più presente l’indicazione relativa all’obbligo del lavoratore di rimanere a casa in caso di febbre o sintomi influenzali.

Si indica che il datore di lavoro, “attraverso le modalità più idonee ed efficaci, informa tutti i lavoratori e chiunque entri nel luogo di lavoro del rischio di contagio da Covid-19 e di una serie di misure precauzionali da adottare, fra le quali:

  • la consapevolezza e l’accettazione del fatto di non poter fare ingresso o di poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano i sintomi del Covid-19 (in particolare i sintomi di influenza, di alterazione della temperatura);
  • l’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità sanitarie e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda;
  • l’impegno a informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti”.

Inoltre, il datore di lavoro “fornisce un’informazione adeguata sulla base delle mansioni e dei contesti lavorativi, con particolare riferimento al complesso delle misure adottate cui il personale deve attenersi in particolare sul corretto utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) per contribuire a prevenire ogni possibile forma di diffusione del contagio”.
Riguardo poi al punto 3 “Gestione degli appalti”, molto semplificato rispetto al precedente punto 3 del protocollo del 6 aprile 2021 (modalità di accesso dei fornitori esterni), si indica che “in caso di lavoratori dipendenti da aziende terze che operano nello stesso sito produttivo (es. manutentori, fornitori, addetti alle pulizie o Vigilanza, etc.) che risultassero positivi al tampone COVID-19, l’appaltatore dovrà informare immediatamente il committente, per il tramite del medico competente laddove presente”. E l’azienda committente “è tenuta a dare, all’impresa appaltatrice, completa informativa dei contenuti del Protocollo aziendale e deve vigilare affinché i lavoratori della stessa o delle aziende terze che operano a qualunque titolo nel perimetro aziendale, ne rispettino integralmente le disposizioni”.

Il nuovo protocollo: le novità sull’organizzazione aziendale

Ci soffermiamo poi sul punto 7 “Gestione degli spazi comuni (mensa, spogliatoi, aree fumatori, distributori di bevande e/o snack)” che ha poche, in realtà, differenze rispetto al precedente protocollo. Si indica che “l’accesso agli spazi comuni, comprese le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi è contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali e di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi”.

Inoltre:

  • “occorre provvedere all’organizzazione degli spazi e alla sanificazione degli spogliatoi, per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igieniche sanitarie”;
  • occorre garantire la sanificazione periodica e la pulizia giornaliera, con appositi detergenti, dei locali delle mense, delle tastiere dei distributori di bevande e snack”.

Molto semplificati alcuni punti relativi all’organizzazione aziendale, ad esempio con riferimento (punto 8) alla “Gestione entrata e uscita dei dipendenti”. Si indica che “si favoriscono orari di ingresso/uscita scaglionati in modo da evitare assembramenti nelle zone comuni (ingressi, spogliatoi, sale mensa). Laddove possibile, occorre dedicare una porta di entrata e una porta di uscita da questi locali e garantire la presenza di detergenti segnalati da apposite indicazioni”.

Dispositivi di protezione delle vie respiratorie

Entriamo nel merito della gestione delle mascherine che richiede un approfondimento viste le alte temperature nelle aziende in questo periodo e che vede la sua spiegazione nel punto 6 del protocollo.
Si tratta del punto di maggior novità dell’intero Protocollo, in quanto chiarisce esplicitamente che l’uso della mascherina nei luoghi di lavoro non è più obbligatoria e che l’utilizzazione volontaria da parte dei lavoratori è legata al ricorrere di alcune condizioni particolari di rischio: “l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo facciali filtranti FFP2, anche se attualmente obbligatorio solo in alcuni settori secondo la vigente disciplina legale, rimane un presidio importante per la tutela della salute dei lavoratori ai fini della prevenzione del contagio nei contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori o aperti al pubblico o dove comunque non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative”.
Per apprezzare i passaggi di questa previsione occorre discostarsi dalla tradizionale impostazione della sicurezza sul lavoro, dalla affermazione della consueta iper- responsabilizzazione del datore di lavoro per la pervasività degli obblighi, generici o specifici, presenti nel Dlgs 81/2008. Per la prima volta si dà attuazione al principio giurisprudenziale secondo il quale “in materia di prevenzione antinfortunistica, si è effettivamente passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, sui quali, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. n. 81/2008, grava effettivamente l’obbligo di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia”.

La fine dell’obbligo di uso della mascherina

Il Protocollo parte dalla osservazione che la recente normativa (espressamente individuata nell’art. 10-quater del decreto-legge 22 aprile 2021 n. 52 convertito con modificazioni dalla legge 17 giugno 2021 n. 87, come modificato dall’art. 11, comma 1, del decreto-legge 16 giugno 2022, n. 68) ha fatto venir meno in via generalizzata l’obbligo dell’uso della mascherina. In allegato 1 è riportato uno specchietto che ripercorre i termini di decadenza dell’uso della mascherina nelle diverse attività.
Il puntuale riferimento normativo citato nel protocollo consente sia di cogliere con precisione il venir meno dell’obbligo e di individuare le uniche ipotesi nelle quali esso è invece ancora vigente, ossia il settore dei trasporti (con esclusione del trasporto aereo) e il settore della sanità. Quindi, la Premessa contiene il chiarimento, richiesto da Confindustria, in ordine alla permanenza dell’obbligo solamente n due settori, per evitare incertezze interpretative a fronte di un cambiamento così importante.

Il perdurare del rischio di contagio

Il venir meno generalizzato dell’obbligo, tuttavia, va coniugato con l’andamento epidemiologico, ancora non tranquillizzante ed anzi in ripresa. Quindi, lungi dal poter affermare la fine del rischio, il Protocollo precisa opportunamente che le mascherine costituiscono un “presidio importante” in tre situazioni puntualmente indicate: ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori; ambienti aperti al pubblico; ambienti dove, comunque, non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative. La disposizione costituisce un monito rivolto all’utilizzatore in ordine al fatto che la liberalizzazione dell’uso della mascherina deve tener conto della perdurante possibilità di contagio.

La ponderazione tra assenza di obbligo e rischio di contagio

Pertanto, nell’effettuare una ponderazione tra la decadenza dell’obbligo di legge ed il quadro epidemiologico ancora critico, il Protocollo (che pure avrebbe potuto conservare l’obbligatorietà della mascherina FFP2) pone a carico del datore di lavoro esclusivamente l’obbligo di assicurare la disponibilità delle mascherine FFP2 e non anche quello di vigilare in ordine al suo effettivo utilizzo e reagire di fronte al mancato uso o all’uso non corretto e lascia libero il lavoratore di utilizzarla autodeterminandosi, nella consapevolezza che, soprattutto nelle situazioni indicate, è ancora presente un rischio per la salute. Come precisa il Ministero del lavoro nella propria nota, infatti, “l’attuale Protocollo è più snello e contiene una serie di misure di prevenzione che tengono conto dell’evoluzione della situazione pandemica: è una semplificazione importante del quadro di regole ma non è un liberi tutti, considerata l’impennata dei contagi di questi giorni”. Questa differente responsabilizzazione identifica la logica collaborativa sopra richiamata: la responsabilità del datore di lavoro per il contagio cede rispetto a quella del lavoratore, il quale è l’unico a poter decidere se indossare la mascherina. Va precisato che la disponibilità della mascherina FFP2 va assicurata a tutti i lavoratori e non solamente a quelli esposti alle situazioni maggiormente rischiose sopra esplicitate.

Il mantenimento dell’obbligo in situazioni particolari

Dal venir meno delle disposizioni – sia di legge che di Protocollo – che impongono o raccomandano l’uso della mascherina, deriva anche il venir meno del fondamento giuridico, per il datore di lavoro, del diritto/dovere di imporla. Vi possono essere, tuttavia, delle ipotesi particolarmente critiche, nelle quali – nonostante il venir meno dell’obbligo – non si può lasciare spazio all’autodeterminazione del lavoratore ed il datore di lavoro deve poter recuperare la gestione della tutela precauzionale. Per assicurare tale possibilità, si è accolta e adeguatamente modificata la proposta contenuta nella seconda parte del punto 6, che configura una ipotesi aggiuntiva rispetto alla precedente. Il medico competente o il RSPP possono indicare, sul piano tecnico od organizzativo, uno specifico motivo per il quale, nei contesti lavorativi critici sopra indicati (ambienti chiusi e condivisi da più  lavoratori; ambienti aperti al pubblico; ambienti dove, comunque, non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative), l’uso della mascherina viene reputato necessario.
In sostanza, si individuano fattori ulteriori a quelli già critici, che rendono
necessaria l’adozione di un presidio che, già reputato importante, diviene imprescindibile.
In presenza di tale eventuale indicazione, il datore di lavoro può imporre l’uso della mascherina ai lavoratori interessati, che dovranno indossarla. Ovviamente, la prima ipotesi espressamente presa in considerazione direttamente nel Protocollo è la tutela dei lavoratori fragili; nel corso della circolare si sono evidenziate altre ipotesi che potrebbero portare il medico o il RSPP a individuare
ulteriori fattispecie Si tratta di una questione di ordine tecnico/organizzativo, individuata dietro
indicazione specifica del medico o del RSPP, non di una soluzione oggetto di confronto sul piano sindacale, e quindi da gestire all’interno del Comitato. È stata infatti respinta una richiesta in tal senso avanzata dal sindacato, fermo restando che il datore di lavoro, laddove la ritenga utile, può farne oggetto di condivisione nel comitato. Ovviamente, vengono meno sia l’equiparazione della mascherina chirurgica ai DPI (essendo decorso il termine ultimo che consentiva tale equiparazione) sia, opportunamente, la “raccomandazione” di utilizzo dei DPI, ad ulteriore dimostrazione che il protocollo non prevede né l’obbligo né la raccomandazione nell’uso delle mascherine. In ambito sanitario, infatti, la raccomandazione equivale ad un obbligo. Come noto, “nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria, la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo, tanto che sul piano del diritto all’indennizzo le vaccinazioni raccomandate e quelle obbligatorie non subiscono differenze”6.
Sulla base di tali considerazioni:

  • il datore di lavoro deve mettere a disposizione di tutti i lavoratori mascherine di tipo FFP2,
    informandoli sulla importanza e non più sull’obbligo di indossarla nei luoghi di lavoro. Ne
    consegue che, il datore di lavoro non è più tenuto ad alcuna vigilanza in ordine all’utilizzo
    della mascherina nei luoghi di lavoro e la sua responsabilità al riguardo si esaurisce nella
    messa a disposizione di dispositivi FFP2;
  • esclusivamente nei casi indicati dal medico competente o dal RSPP, il datore di lavoro
    è tenuto a imporre ai lavoratori interessati l’utilizzo della mascherina FFP2 e a vigilare
    sull’osservanza di tale prescrizione. Al riguardo, si segnala la necessità di assicurare
    adeguata protezione alle informazioni sottese alle indicazioni del medico competente o
    del RSPP in ordine all’utilizzo della mascherina, in modo da garantire la riservatezza e
    la dignità dei lavoratori interessati;
  • salvi i casi indicati dal medico competente o dal RSPP che, come anticipato, attengono
    a questioni di ordine tecnico/organizzativo, il datore di lavoro non può in via generalizzata
    imporre l’utilizzo della mascherina FFP2 nei luoghi di lavoro.

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