ArcelorMittal: no a un accordo blindato, il piano deve tutelare tutti i lavoratori

di Rocco Palombella

Il 22 dicembre scorso a fronte di nostre ripetute richieste per conoscere l’accordo tra ArcelorMittal e Invitalia firmato il 10 dicembre, abbiamo ottenuto un incontro in videoconferenza con i quattro ministri coinvolti – Patuanelli, Gualtieri, Catalfo e Provenzano – l’ad di Invitalia Domenico Arcuri, e quello di AMI, Lucia Morselli. Dopo una breve introduzione della riunione fatta da Patuanelli, è stata la volta di Arcuri che ha illustrato le linee generali dell’intesa, confermate da Morselli.
Già in quella occasione noi abbiamo da un lato salutato positivamente il futuro ingresso dello Stato all’interno della nuova società che si costituirà dopo il via libera dell’antitrust europeo atteso per febbraio, dall’altro abbiamo considerato però questo piano industriale da modificare.

SI ALLE INNOVAZIONI NO AGLI ESUBERI
Di positivo c’è il tentativo reale di una spinta ecologica utilizzando le migliori tecnologie: un terzo della produzione dipenderà da un forno elettrico e due impianti di pre-ridotto.
Tuttavia abbiamo considerato la tempistica dello svolgimento del piano, il completamento del risanamento ambientale e gli investimenti tecnologici troppo diluiti nel tempo. In effetti, il piano traguarda il 2025. Cinque anni sono sicuramente troppi per un piano industriale e gli scenari possono mutare nel tempo.
Inoltre, molte perplessità le abbiamo espresse sulle ricadute occupazionali: il piano, presentato anche con una certa superficialità, ha previsto l’utilizzo da subito della cassa integrazione per 3mila lavoratori nei prossimi due anni e poi per circa 2.500 lavoratori i due anni successivi. Altro elemento di grande preoccupazione è l’eliminazione della clausola di salvaguardia relativa all’impegno occupazionale per i 2mila lavoratori in Ilva AS (attualmente sono rimasti in 1.600).
Ciononostante abbiamo espresso un cauto giudizio e abbiamo ottenuto la disponibilità ad aprire una trattativa che lasciasse libertà alle parti di discutere il piano industriale, gli organici e gli investimenti.

IL PRIMO INCONTRO IN PRESENZA
Abbiamo atteso oltre 20 giorni, considerando la pausa per le festività natalizie, e il 12 gennaio abbiamo fatto un incontro in presenza che ha presentato subito dei limiti evidenti: intanto si è tenuto presso la sede di Confindustria e non in sede ministeriale, alla presenta di AMI e Invitalia (che ancora non ha alcun titolo visto che si è in attesa dell’antitrust), mentre erano assenti i commissari di Ilva AS.
Morselli, anziché presentare i contenuti un po’ più dettagliati dell’accordo realizzato con Ivitalia ha proiettato delle slide contenente qualche dato sulla produzione del 2020 e le previsioni per i prossimi anni.
Nelle slide c’erano anche alcune voci sugli investimenti ambientali e tecnologici realizzati e da realizzare, e poi tutta una serie di impegni molto generici relativamente alla gestione degli impianti stessi.

TRATTATIVA O INFORMATIVA?
Noi siamo stati come sempre quelli particolarmente critici, perché abbiamo contestato alle parti presenti e rivendicato la validità dell’unico accordo sottoscritto da sindacati, quello del 6 settembre 2018.
Abbiamo formulato più volte la domanda se eravamo in una fase di trattativa o solo di “informativa”, poiché già nella fase di realizzazione dell’accordo AMI-Invitalia avevamo più volte rivendicato la possibilità di incidere sull’accordo. In quelle occasioni ci è stato detto che l’intesa sindacale fosse vincolante ai fini dell’accordo, ma nell’ultimo incontro non abbiamo avuto questa percezione né rassicurazioni in tal senso da Morselli, pur dichiarando la disponibilità a voler ricercare un accordo sindacale.
La riunione, durata diverse ore anche con momenti di scontro, alla fine non ha raggiunto una formale convergenza. L’unica cosa che si è potuta fare è stato proporre un calendario di incontri a livello di stabilimento per poter avere un quadro dettagliato e un cronoprogramma su investimenti ambientali, tecnologici, ripartenza degli impianti, livelli occupazionali. E solo a valle di questi chiarimenti abbiamo proposto di riconvocare un incontro nazionale, questa volta possibilmente con governo e Invitalia, per poter aprire una vera trattativa sindacale.

PATRIMONIO DA SALVAGUARDARE
Come ho sempre sostenuto, tremila lavoratori in cassa integrazione per un periodo così lungo è insopportabile alla luce anche del tetto della cassa integrazione covid molto basso, senza alcuna integrazione salariale. Senza dimenticare che uno dei nodi più spinosi riguarda la garanzia occupazionale per i lavoratori in AS, completamente cancellati dalla nuova intesa.
Pur consapevoli della drammaticità del contesto, noi non potevamo e non possiamo tacere di fronte a qualcosa che non condividiamo e che va corretta immediatamente.
Siamo convinti che durante il percorso negoziale dobbiamo fare tutte le modifiche necessarie perché solo così quel piano potrà avere una possibilità di successo.
Non vogliamo unirci al coro di chi vuole la chiusura dell’aria a caldo e quindi dello stabilimento, noi riteniamo invece che l’ex Ilva sia un patrimonio da salvaguardare. E per farlo occorrono gli investimenti e l’avvio della transizione ecologica con la salvaguardia dei livelli occupazionali, condizione necessaria per avviare un percorso di risanamento.
Insomma, ancora una volta la questione ex Ilva continua a tenere banco, per la quantità di lavoratori coinvolti e per il suo indiscutibile ruolo strategico all’interno del Paese. Noi ci siamo sempre stati, ci siamo e ci saremo.

La delegazione Uilm nell’ultimo incontro del 12 gennaio in Confindustria

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