La prevenzione ai tempi del Coronavirus

di Andrea Farinazzo

I fraintendimenti sono favoriti dal fatto che si usa prendere in considerazione i nuovi rischi senza collocarli nel contesto globale del D.Lgs. n. 81/2008. Ed è proprio questa la metodologia di interpretazione che dobbiamo abbandonare. L’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008: “il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio”, il concetto di salute è dettato dall’art. 2, comma 1, lett. o), D.Lgs. n. 81/2008: “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”, senza tralasciare l’art. 2, comma 1, lett. n), D.Lgs. n. 81/2008, il quale definisce la prevenzione come “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”. Una norma che assorbe e valorizza quell’obbligo generale introdotto già dall’art. 2087 c.c. Risulta altresì evidente, che nei provvedimenti adottati dal Governo, vi è una strategia volta a coinvolgere anche le stesse imprese nella delicata opera di contenimento del virus.

IL DVR NEL CORONAVIRUS
Dagli artt. 17, comma 1, lett. a), e 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 si evince che devono essere valutati “tutti” i rischi, mq quali devono essere valutati quelli durante o dal lavoro?

A dare la risposta è l’art. 28, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, ove si usa l’espressione “tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa”. Un’espressione altamente significativa, in quanto fa intendere che debbono essere valutati tutti i rischi che possono profilarsi, non necessariamente a causa dell’attività lavorativa, bensì durante l’attività lavorativa: come appunto il coronavirus. Proprio quel “durante” induce a condividere la linea interpretativa accolta dalla Commissione per gli Interpelli in un Interpello 25 ottobre 2016, n. 37412 di fondamentale rilievo nell’economia dell’analisi qui condotta.

In particolare, l’art. 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 prevede, per il datore di lavoro, l’obbligo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari ed adottare, conseguentemente, le misure di prevenzione e protezione che reputi idonee allo scopo.

Tutto ciò premesso la Commissione fornisce le seguenti indicazioni:

  • il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi;

  • compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti … rischi generici aggravati …, legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento;

  • non considerati astrattamente, ma che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa svolta.

Non solo “durante”, i rischi devono essere valutati anche “ovunque”. La valutazione deve riguardare il rischio coronavirus ovunque l’attività lavorativa venga prestata, e, quindi, anche all’esterno dei locali aziendali. L’art. 28, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008 dispone che “il contenuto” del DVR “deve altresì rispettare le indicazioni previste dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei successivi titoli del presente decreto”. A proposito del coronavirus il pensiero corre al Titolo X, D.Lgs. n. 81/2008, intitolato “Esposizione ad agenti biologici”, e a quell’art. 266 ove si stabilisce che “le norme del presente Titolo si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici”, e, dunque, anche a quelle attività in cui tale rischio non derivi dalla “deliberata intenzione di operare con agenti biologici”.

OBBLIGO DI AGGIORNAMENTO?
A scanso di un equivoco che già si è diffuso, occorre richiamare l’attenzione su quell’art. 29, comma 3, primo periodo, D.Lgs. n. 81/2008 in forza del quale la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata “in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità”. Non è mancato chi ha ritenuto di affrontare il problema relativo alla valutazione del rischio coronavirus da parte delle imprese nella cornice dell’aggiornamento del DVR, e, quindi, a porsi questa domanda:

I datori sono, o non, tenuti a rivedere la valutazione inserendovi anche il rischio biologico da COVID-19 e le relative misure preventive? Con questa risposta: Nell’art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008, le ipotesi che danno origine a un obbligo di aggiornamento sono quattro:

  • modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro che impattano sulla salute e sicurezza dei lavoratori;

  • evoluzione tecnologica che consenta una migliore prevenzione;

  • verificazione di infortuni significativi;

  • esiti della sorveglianza sanitaria che evidenzino la necessità di un aggiornamento del DVR.

Nelle causali per la rielaborazione del DVR non sono quindi indicate circostanze ambientali estranee ai rischi specifici aziendali come è l’ipotesi di una epidemia o potenziale pandemia. Sembrerebbe quindi possibile escludere un obbligo di aggiornamento per quelle imprese che non abbiano come oggetto diretto dell’attività lavorativa il rischio biologico, ma presentino soltanto un rischio di esposizione indiretta. Si tratta di un’analisi non condivisibile. Da sempre è pacifico in giurisprudenza (e in letteratura) che il DVR costituisce un documento “dinamico”, e, dunque, un documento preordinato a fornire una rappresentazione della realtà aziendale non già statica, bensì costantemente fedele. Il fatto è che, in forza dell’art. 28, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute, e che per “valutazione dei rischi” s’intende, in base all’art. 2, comma 1, lett. q), D.Lgs. n. 81/2008, una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività”. E sarebbe sbagliato esimere il datore di lavoro di un’impresa già in attività nel 2019 (ma non il datore di lavoro di una nuova impresa costituita nel 2020) dall’obbligo di valutare il rischio coronavirus.

FORMAZIONE, VIGILANZA, SORVEGLIANZA
Di primario rilievo sono l’informazione e formazione dei lavoratori (oltre che la formazione dei dirigenti e dei preposti, di diritto e di fatto, prevenzionistici o non prevenzionistici) a norma degli artt. 36, 37, 278, D.Lgs. n. 81/2008. Per decenni è stato usuale sostenere che il lavoratore sarebbe un mero creditore di sicurezza. Questa affermazione deve ormai essere riesaminata. L’art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 prevede, infatti, che “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni”. Senza un’adeguata formazione del lavoratore sul rischio coronavirus e sulle misure di contrasto, il datore di lavoro si sentirà dire dalla Cassazione: “non è decisiva la circostanza che il lavoratore abbia posto in essere un comportamento colposo, imprudente, negligente, ove si tratti di una conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi gravanti sul datore di lavoro”.

Di grande rilievo anche con riguardo al coronavirus è l’obbligo di vigilanza sui lavoratori, posto a carico del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti19. Un obbligo, si badi, che “il datore di lavoro non dismette, pure in presenza di altro soggetto deputato alla vigilanza”: “se più sono i titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è doveroso, per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto”, e che “ciò deve ritenersi sia quando le posizioni di garanzia siano sullo stesso piano, sia, a maggior ragione, allorché esse non siano di pari grado, giacché, in tale ultima evenienza, il titolare della posizione di garanzia, il quale vanti un potere gerarchico nei confronti dell’altro titolare della posizione di garanzia, investito a livello diverso, deve scrupolosamente accertarsi che il subordinato abbia effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta”

Quanto mai preziosa è la sorveglianza sanitaria mirata sul rischio coronavirus. In un sistema normativo quale quello allestito dal D.Lgs. n. 81/2018, la sorveglianza sanitaria da parte del medico competente è obbligatoria, e non vietata dall’art. 5 Statuto dei Lavoratori, nei soli casi tassativamente contemplati dall’art. 41, comma 1, e, dunque, “a) nei casi previsti dalla normativa vigente, nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all’articolo 6; – b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi”, e, dunque, alla sorveglianza sanitaria comprensiva delle visite mediche elencate nel comma 2 dell’art. 41 D.Lgs. n. 81/2008. In questa prospettiva, assume un peso determinante l’art. 279, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008: “qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41” e, dunque, alla sorveglianza sanitaria comprensiva delle visite mediche elencate nel comma 2 dell’art. 41, D.Lgs. n. 81/2008. In sintonia con quanto prescrive l’art. 271, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, e, cioè, che “nelle attività, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell’allegato XLIV, che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori agli stessi, il datore di lavoro può prescindere dall’applicazione” anche dell’art. 279, “qualora i risultati della valutazione dimostrano che l’attuazione di tali misure non è necessaria”.

Più che mai all’ordine del giorno contro un rischio come il coronavirus sono naturalmente i mezzi personali di protezione. È vero che, a norma dell’art. 15, comma 1, lettera i), D.Lgs. n. 81/2008, vige il principio di “priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale”. Sta di fatto, però, che proprio nell’ambito di cui ci stiamo occupando, più che mai spetta al datore di lavoro, con l’indispensabile ausilio dell’RSPP e del medico competente, individuare già nel DVR i D.P.I. destinati a proteggere i lavoratori (secondo quanto impongono, e non semplicemente raccomandano, gli artt. 74-78, 272-273 D.Lgs. n. 81/2008).

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