Fatta la certificazione… trovato l’inganno! La parità va ancora in deroga

di Ilaria Landi

Rispetto alla Parità di genere, alla conciliazione del tempo lavoro e famiglia, contro le molestie e la violenza verso le donne, i piccoli passi apprezzabili, sebbene insufficienti, credo siano stati fatti grazie soprattutto ai Coordinamenti come il nostro e a tutti quei movimenti che in modo serio pongono l’attenzione su questo tema, riuscendo a dar voce alle donne che lavorano e vivono l’impresa e a quelle dinamiche discriminatorie che altrimenti rimarrebbero nell’ombra. Perché se anche la maggioranza si dichiara progressista e inclusiva, si sforza nella declinazione al femminile di nomi e incarichi, nella realtà molti restano figli di retaggi culturali radicati che portano tutt’oggi agli squilibri nella gestione domestica e nella cura dei figli. Inoltre, le condizioni e il mercato del lavoro differiscono in modo importante anche rispetto all’economia e alla singola realtà aziendale.

RIVENDICARE UN DIRITTO
Spesso mi trovo a porre l’attenzione sul fatto che in un territorio in crisi, che già di per sé offre pochissime opportunità di lavoro femminile e dove le diseguaglianze sociali aumentano senza controllo, difficilmente ci sarà una rivendicazione dei diritti sulla flessibilità, anzi, si tenderà purtroppo a adagiarsi sul pensiero involutivo secondo cui dobbiamo accettare il lavoro che c’è, perché rivendicare un diritto lo metterebbe a rischio. Dall’altro lato, nelle grandi aziende dove siamo ben strutturati a livello sindacale, riusciamo a siglare accordi di flessibilità e conciliazione del tempo vita-lavoro molto importanti. Per questo la nostra azione deve continuare in modo costante anche attraverso l’Osservatorio nazionale istituito e la Commissione al Cnel, tenendo conto dei molteplici fattori che anche in modo indiretto portano ad una disparità di genere che rischia poi di essere assorbita dalla società come normale. In tutto questo non possiamo scordare che il periodo pandemico ha aggravato notevolmente questo squilibrio: nel 2020 le lavoratrici che hanno perso il lavoro sono state il doppio rispetto agli uomini (Bollettino ADAPT 27/06/22,n.25).

I NUMERI DELLA DISPARITA’
Si registra ancora un’altissima percentuale di ricorso al lavoro part time per le donne che sono costrette per mancanza di alternative. Un Focus dell’Istat sulla Regione Toscana, rileva che la donna lavoratrice dedica in media 20 ore settimanali alla cura familiare, rispetto alle 6 degli uomini che vivono in coppia. Da una recente indagine di Me First in collaborazione con LabCom, per ”esplorare il benessere delle mamme lavoratrici” è emerso come la gravidanza nella maggior parte dei casi viene rimandata il più possibile e il 42% delle donne rinuncia per la carriera lavorativa, oppure si registra un peggioramento della condizione di vita successivamente alla maternità per le scarse politiche di welfare, supporti pubblici e aziendali. Oltre il 91% delle mamme toscane che hanno partecipato alla ricerca (285) dichiara di aver bisogno di un supporto aziendale e solo il 10% ne ha ricevuto; il 39.7% chiede una maggiore flessibilità lavorativa e l’attivazione dello smart working e circa il 91% dichiara di non avere tempo libero, che necessita di maggiore opportunità per accedere ai nidi e ad altri servizi per l’infanzia (68.2%) con conseguente peggioramento del benessere psicologico che richiede sostegno terapeutico (36%).

LE RISORSE DEL PNRR
Le risorse del  PNRR dovrebbero servire per contrastare le disparità di genere, come quelle destinate agli asili nido, ma come sostiene lo Svimez (Ansa) rischiano di rimanere solo sulla carta o penalizzare proprio i territori più bisognosi di infrastrutture sociali, perché il sistema dei bandi pubblici  ne limita fortemente l’accesso a chi ha già una carenza strutturale dei servizi amministrativi, senza contare che il riparto delle risorse stanziate a livello regionale non tiene conto delle differenze socio economiche delle stesse e dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire (LEP). I ritardi che si stanno accumulando su questi progetti rischiano di far evaporare 4,6 mln destinati alle strutture per l’infanzia e dirottarli altrove: un’ altra beffa.

RAPPORTO BIENNALE PER LE PARI OPPORTUNITA’
Anche la questione del Rapporto Biennale per le Pari Opportunità esteso a tutte le imprese sopra i 50 dipendenti è un documento importante per conoscere la situazione del personale maschile e femminile, nonché prerequisito per un punteggio premiale rispetto ai bandi pubblici legati al PNRR.
Il nostro Coordinamento si è impegnato molto affinché le aziende recepissero l’importanza di questo documento, impresa già non facile di per sé, che oltretutto rischia di essere totalmente vanificata nel suo obiettivo primario per l’assunzione di donne giovani e disabili, se si considera che è stata inserita solo come “allegato” nel nuovo codice appalti e assoggettata a svariate deroghe per le imprese partecipanti. La nostra denuncia trova conferma nell’attenta analisi di Federico Fubini sul Corriere dove in sintesi 2 appalti su 3 dimenticano le Pari Opportunità: su 34 mila bandi PNRR i vincoli sulle assunzioni PO sono richiesti solo nel 29%, quanto alla “premialità’’ legata alla certificazione di genere, nel 95% non è prevista.

C’ERA UNA VOLTA “OPZIONE DONNA”
Purtroppo, l’attenzione su normative così importanti che impattano direttamente su migliaia di lavoratrici, ha trovato la sua grave conferma anche nella modifica di ”Opzione Donna” da parte del Governo, che di fatto ha mortificato 20mila lavoratrici già pronte ad andare in pensione e sulle quali era già stata caricata appunto anche l’assistenza e la cura della famiglia. Questo è stato uno dei nodi cruciali che hanno portato alla mobilitazione di Cgil Cisl Uil che ha visto riempire le Piazze di Bologna, Milano e Napoli. Il Governo resta distante dalle nostre rivendicazioni sui diritti e sulle Pari Opportunità e non ha perso occasione di dimostrarlo neanche il 10 maggio scorso quando il Parlamento Europeo ha ratificato la Convenzione di Istanbul a stragrande maggioranza. Una giornata storica in cui l’adesione dell’UE rafforzerà questo strumento giuridico che vincola gli Stati membri (in Italia già ratificata) a uniformare le proprie leggi per prevenire la violenza di genere, tutelare le vittime e punire chi agisce. I dati sugli abusi quotidiani contro le donne restano gravissimi e non conoscono confini di Stato, per questo la strada della coesione contro ogni forma di violenza è determinante anche per il nostro lavoro e deve essere percorsa con l’Europa al centro, a presidio di tutti i diritti civili.

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