La Sicurezza sul lavoro nella fase di ripartenza

di Andrea Farinazzo

E’ noto a tutti come il Protocollo condiviso del 14 marzo sia divenuto vincolante nei contenuti, per specifica volontà del legislatore del DPCM del 22 marzo (decreto oggi non più efficace e sostituito dal DPCM del 10 aprile u.s., nel quale è stato riconfermato il medesimo precetto – art.2, co.10) che ha, mediante un accordo tra le parti sociali e il governo, a soli tre giorni dal DPCM dell’11 marzo, invitato le parti a trovare intese (art.1, co.9) per individuare regole condivise al fine di porre in essere “misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale”. Tutto ciò servirà a stabilire le regole per la ripartenza delle aziende dopo la chiusura.
Saranno fondamentali i protocolli aziendali che consentiranno a ogni azienda di poterne declinare le prassi e le misure suggerite nella propria specificità. Il Protocollo succitato al suo punto 13 prevede per altro che in ogni azienda si costituisca un comitato tra datori di lavoro e rappresentanze dei lavoratori, ove presenti, o con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali (RLST), che ne monitori l’applicazione”.

VALUTAZIONE DEI RISCHI E FORMAZIONE
Riguardo ai principi generali e in relazione al concetto che “ognuno protegge tutti”, ciascun individuo “partecipa alle azioni di contenimento grazie a un comportamento consapevole: utilizza correttamente presidi di minimizzazione del contagio (es. mascherine, cuffie, guanti, occhiali) e modalità organizzative del lavoro, di cui è adeguatamente informato; si sottopone a triage multidimensionale (temperatura, analisi biochimiche, ecc.), ed eventualmente adotta sistemi digitali di supervisione dei propri spostamenti volti ad evitare inutili assembramenti”. Si indica poi che, funzionali alla prevenzione e al contenimento della trasmissione del contagio in ambito lavorativo, “potrebbe risultare utile classificare i luoghi di lavoro in base a criteri specifici di densità di occupazione e distanze interpersonali da mantenersi, e i mezzi di mitigazione del rischio di trasmissione del contagio da adottarsi. Ne potranno derivare cambiamenti organizzativi, di modalità e di condizioni di lavoro”. E di conseguenza “andranno aggiornati i Documenti di Valutazione dei Rischi incluso quello da interferenze (DUVRI), in considerazione di potenziali rischi associati ad appalti di servizi, di opere, di cantieri o di somministrazione, oltre che ai trasporti e alla logistica in generale, ai servizi interni alle società, alle modalità di svolgimento delle attività produttive e/o di erogazione dei servizi anche all’interno della medesima organizzazione”. Dovranno poi essere predisposti “adeguati piani di formazione e informazione del personale a ogni livello, come pure di prevenzione, vigilanza e controllo dell’applicazione delle prescrizioni. La sorveglianza sanitaria svolta dal Medico Competente, già presente o nominato allo scopo, dovrà proseguire rispettando le misure igieniche contenute nel Protocollo anti-contagio e nelle indicazioni del Ministero della Salute”. Attuando, pertanto, gli interventi minimi necessari previsti dal Protocollo condiviso del 14 marzo, declinati specificatamente, alla luce delle realtà lavorative, nel Protocollo di sicurezza anti-contagio, occorrerà verificare la coerenza con le procedure e le regole organizzative, in essere, nel contesto lavorativo, modificando/aggiornando nel DVR quanto non più rispondente o, comunque, adeguato a garantire la salute e sicurezza degli occupati (non potendo trascurare che il DVR deve essere “la fotografia dell’esistente” – art.29, co.3, DLGS 81/08 s.m.i.).

PREVENZIONE E RIDUZIONE DEI RISCHI
Distanze interpersonali: “per ciascuna delle aree frequentate (ad esempio: atrio di accesso, spogliatoi e servizi igienici, reparto di lavoro, area pausa, mensa, area fumatori, ascensori) deve essere definito il numero massimo di persone che possono essere presenti, in base alla disponibilità di dispositivi di prevenzione del contagio, allo spazio disponibile, al tempo di permanenza e alla attività svolta. Ad esempio, è prassi attualmente prescritta nelle disposizioni governative garantire la rarefazione del personale e il rispetto di una distanza interpersonale minima di 1 metro. Ad esempio, si potrà:

  • consentire meno densità in aree di sosta ‘critiche’ in cui le persone potranno non indossare mascherina (area pausa, mensa, area fumatori);
  • prevenire gli assembramenti per attese (fila per accedere alla timbratrice, ressa ai cancelli, fila alla biglietteria del teatro) con una pianificazione degli accessi e dei turni di lavoro”.

Buone pratiche di igiene:

  • consentite e incoraggiate mettendo a disposizione tutti i mezzi necessari. Ad esempio: distributori di gel igienizzante in punti di distribuzione di facile accesso, prescrizione di lavaggio mani prima e dopo accesso al proprio posto di lavoro o l’incontro con altri lavoratori, ecc;
  • attività specifiche di pulizia giornaliera e di sanificazione periodica nei luoghi identificati di alto transito o alla fine dei turni di lavoro nelle aree con alternanza di squadre di lavoro. Ad esempio una pulizia può essere prescritta quando in un luogo (cabina di guida, spogliatoio, ufficio, postazioni di una linea produttiva, ecc.) vengono a turnare diversi occupanti (singoli o gruppi/squadre), effettuata con sanificante per le superfici soggette a contatto diretto con la pelle delle persone”.

La definizione delle diverse attività anche secondo la normativa vigente

  • La pulizia consiste nella rimozione di polvere, residui, sporcizia dalle superfici, è realizzata con detergenti e mezzi meccanici e rimuove anche parte di contaminanti patogeni.
  • La igienizzazione consiste nella pulizia a fondo con sostanze in grado di rimuovere o ridurre gli agenti patogeni su oggetti e superfici. Le sostanze igienizzanti (es. ipoclorito di sodio o candeggina) sono attive nei confronti degli agenti patogeni, ma non sono considerate disinfettanti in quanto non autorizzati dal Ministero della Salute come presidi medico chirurgici.
  • La disinfezioneè il procedimento che con l’utilizzo di sostanze disinfettanti riduce la presenza di agenti patogeni, distruggendone o inattivandone in una quota rilevante ma non assoluta (si parlerebbe in tal caso di sterilizzazione).
  • La sanificazioneè l’intervento globalmente necessario per rendere sano un ambiente, che comprende le fasi di pulizia, igienizzazione e/o disinfezione, e di miglioramento delle condizioni ambientali (microclima: temperatura, l’umidità e ventilazione). Il termine sanificazione quindi comprende le attività di pulizia ordinaria con acqua e detergente alla quale segue un trattamento di decontaminazione (igienizzazione e/o disinfezione). La sanificazione può essere necessaria per decontaminare interi ambienti, richiedendo quindi attrezzature specifiche per la diffusione dei principi attivi e competenze professionali, oppure aree o superfici circoscritte, dove gli interventi sono alla portata anche di soggetti non professionali. La sanificazione interviene riducendo o abbattendo i microrganismi patogeni nell’immediato, ma la sua efficacia non dura nel tempo. Sono importanti gli interventi di pulizia e igienizzazione frequenti, anche se più circoscritti alle superfici di più frequente contatto.

 Organizzazione del lavoro, degli ingressi e degli spazi (possibili azioni)

  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, dell’adeguata copertura e distribuzione degli addetti alle emergenze e primo soccorso, per l’intero orario di lavoro;
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, dello svolgimento di mansioni per le quali era necessaria (prima dell’emergenza COVID-19) la presenza simultanea e/o collaborativa di almeno due persone (ad es. per spostamento carichi pesanti, interventi in ambiente confinato…);
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, dei rischi rappresentati dal lavoro in solitudine (specie in presenza di lavoratori “fragili”);
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, se gli eventuali “nuovi” spazi adibiti a luoghi di lavoro hanno tutti i presidi di sicurezza adeguati (ad es. estintori sufficienti, cassette primo soccorso, porte tagliafuoco, segnaletica di emergenza, vie di fuga, attrezzature da ufficio rispettose dei precetti normativi…);
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, degli orari di lavoro, dei ritmi di lavoro, dei carichi di lavoro, delle presenze sufficienti per lo svolgimento delle attività (tenendo conto sia dei casi di malattia “non correlati al COVID-19”, così come quelli “correlati a COVID-19”);
  • sulla base della riorganizzazione degli spazi, ai fini del rispetto della distanza minima, di una necessaria ri-valutazione delle postazioni di lavoro negli open space, negli uffici (con presenza di più postazioni), nelle linee produttive, di una nuova modulazione e nuova progettazione del lay-out degli spazi di/per lavoro;
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, della copertura ed efficienza dei mezzi di comunicazione interna, in caso di modifiche delle postazioni di lavoro, dei nuovi spazi adibiti a luoghi di lavoro, della lontananza fra colleghi… (telefoni, computer, sistemi di allarme…);
  • delle scadenze rinviate di tutti i controlli ordinari (filtri dell’aria, presidi antincendio ed evacuazione, ascensori, impianti di messa a terra…);
  • della necessità di stipulare o modificare/aggiornare il Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza (DUVRI) per le aziende in appalto ( imprese di pulizia per la sanificazione, guardiania impegnata nel controllo della temperatura corporea…) armonizzando il Protocollo di sicurezza anti-contagio dell’impresa committente con quello dell’impresa appaltatrice, e riportando quanto di interesse nei DUVRI (ai sensi dell’art.26 del DLGS 81/2008 s.m.i.).

Uso di dispositivi:

  • dovranno essere selezionati i dispositivi più adeguati al tipo di attività svolta, con principale attenzione al concetto di protezione personale e sociale. Fatte salve aree a occupazione particolarmente rarefatta, ciascuno indossa il dispositivo più adatto a proteggere sé stesso dall’ambiente e gli altri oppure gli altri e l’ambiente da sé stesso, a seconda delle condizioni dello spazio in cui lavora e delle mansioni assegnate;
  • secondo quanto condiviso nel protocollo aziendale, i lavoratori che accedono devono normalmente indossare come dispositivo di prevenzione della trasmissione del contagio una mascherina del tipo “mascherina chirurgica” tipo I, oppure mascherine filtranti le cui performance minime è opportuno siano garantite per le quali è allo studio un protocollo in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità;
  • eventualmente, solo in casi specifici, uso di maschere facciali dispositivi di protezione individuale FFP2/FFP3, guanti e cuffie per capelli (operatori sanitari, addetto alla rilevazione della temperatura all’ingresso, guardiania, cassieri, squadre di emergenza, ecc.);
  • possibilità di fornire ai lavoratori ‘kit’ di protezione individuale. Il conferimento di kit (es. 2- 4 mascherine per uso giornaliero e gel per la igienizzazione personale) può presentare il vantaggio di coprire con efficacia la prevenzione dal contagio su eventuali mezzi collettivi di trasporto, secondo prassi che in questo caso vanno comunque decise dall’ente gestore dei trasporti”.

SORVEGLIANZA SANITARIA E RIENTRO DEL PERSONALE A LAVORO
Di estrema difficoltà sta risultando il poter garantire un’adeguata tutela per le lavoratrici e i lavoratori che si trovano in situazione di particolare fragilità, a partire da coloro che risultano affetti da patologie attuali e pregresse e/o che hanno condizioni particolari (quali ad es. i malati oncologici, gli immunodepressi, ma anche gli affetti da pneumologie, reumatologie o gli appartenenti a categorie risultate più vulnerabili, quali le persone di età avanzata …), che li espongono potenzialmente ad un maggior rischio di contagio da COVID-19. Quanto espressamente previsto nel Protocollo condiviso del 14 marzo, riferito al prevedere a carico del medico competente la segnalazione in azienda di casi riconducibili a condizione di fragilità (per le ragioni dapprima richiamate), non trova applicazione concreta, necessitando di ulteriori soluzioni regolative certe e puntuali, che si auspica giungano al più presto (già, comunque, richieste ufficialmente alle autorità governative). Occorre, difatti, precisare che nel caso il lavoratore fragile non sia già soggetto a sorveglianza sanitaria (sulla base della mansione svolta e dei rischi ai quali il lavoratore è esposto) e/o le sue problematiche di salute non siano conosciute dal medico competente perché non correlate all’occupazione, per il medico competente risulta difficile poter venire a conoscenza di tali condizioni, se non palesate spontaneamente dal lavoratore. Anche nel caso di fragilità dovute a motivazioni evidenti, quali ad esempio l’età avanzata, non rappresentando motivi correlati all’idoneità alla mansione, il medico competente potrà solo confrontarsi con il datore di lavoro e gli altri componenti del Comitato (quindi, sostanzialmente gli attori della prevenzione aziendale, RSPP e RLS) al fine di individuare modalità alternative per favorire la tutela della persona (vd. smart working o altre soluzioni). Va ricordato, in tal senso, che il datore di lavoro non può sottoporre a visita medica il lavoratore (ai sensi dell’art.5 della L.300/70) mediante il medico competente, se non ricorrendo alla commissione medica pubblica che, pronunciandosi comunque sempre nei termini di una valutazione di idoneità, interviene su singoli casi e non sulla base di criteri che possano comprendere gruppi di lavoratori. Per altro canto, quanto stabilito sul punto dall’art.3, co.1, lett. b) del DPCM dell’8 marzo u.s. e dall’art.26 del D.L. n.18 del 17 marzo u.s., non ha garantito la risoluzione del problema. Difatti, determinando, in breve, che tutti coloro che risultano privi di certificazione emessa da “competenti autorità sanitarie” (come, invece, nei casi, ad esempio, di chi rientra nei termini stabiliti dalla L.104/92) non hanno la possibilità fattiva di farsi riconoscere il proprio stato di fragilità, tenuto conto che il medico di base non è considerato assimilabile a tali autorità competenti, ha confermato l’esistenza di grave problema di tutela per un’ampia schiera di occupati. Riconoscimento che se venisse comunque garantito, a fronte del consentire a tali occupati fragili di poter non recarsi al lavoro determinerebbe, ad oggi, un’assenza dal lavoro computabile ai fini del periodo di comporto (prevedendo un assottigliarsi dei giorni a disposizione del singolo per altre patologie delle quali potrebbe risultare affetto nel corso dell’anno, al di là del contagio). In attesa, quindi, di indicazioni risolutive chiare al problema, è opportuno suggerire ai lavoratori che si trovino in condizioni di fragilità “non certificata” da competente autorità, di richiedere visita medica al medico competente (che dovrà concederla, valutandone le ragioni, sia che essi siano, o meno, in sorveglianza sanitaria) al fine di metterlo a conoscenza delle ragioni che potrebbero determinare una sua potenziale maggior esposizione al contagio da COVID-19. A corredo, si ricorda che tra gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, ai sensi dell’art. 18, co.1, lett. c) vi è il tenere conto delle capacità e delle condizioni dei lavoratori, in rapporto alla loro salute e alla sicurezza, nell’affidare loro i rispettivi compiti e, ai sensi dell’art. 15, co.1, lett. m), quale misura generale di tutela, l’allontanamento del lavoratore dall’esposizione a rischio per motivi inerenti la sua persona, prevedendo il suo adibirlo, valutando le possibilità, ad altra mansione. In sintesi, nel doversi adoperare per garantire la stipula del Protocollo di sicurezza anti-contagio in ogni realtà lavorativa, che stia svolgendo le attività o che sia in riavvio, promuovendo la costituzione del Comitato, e assicurando tale processo (per quanto possibile) anche nelle realtà lavorative nelle quali non vi è la presenza sindacale, al fine di porre in essere una tutela adeguata per tutti gli occupati per il contrasto al contagio al Covid-19, occorre predisporsi, stimolando i contesti lavorativi, all’accompagnare in modo adeguato il passaggio dalla fase emergenziale, alla fase di gestione ordinata e strutturata del problema, predisponendo e pianificando il cambiamento che potrà/dovrà, in alcuni casi, avere anche il carattere di permanente (non necessariamente di segno e valore negativo), anziché solo temporaneo, seppur dai tempi, comunque, medio-lunghi.

 

 

 

 

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