Ad Avezzano una tavola rotonda su Industria 4.0

Quando parliamo di Industria 4.0 sembra sempre di parlare di qualcosa di lontano nel tempo. Pensiamo a un futuro robotizzato, meccanizzato, organizzato ancor più di quanto già non avvenga. In realtà parliamo di un processo che è iniziato già diversi anni fa e che ha permesso ad alcuni settori, come ad esempio la manifattura, di subire enormi trasformazioni. Trasformazioni che in alcuni casi hanno originato nuovo lavoro. Trasformazioni che non sono da temere, ma da affrontare nel modo giusto.

DALLA TECNOLOGIA ALLE PERSONE
Di questo si è parlato ad Avezzano il 9 maggio scorso nel corso della tavola rotonda “Industria 4.0, dalla tecnologia alle persone. Un’occasione da non perdere” organizzata dalla Uilm. Tra i relatori, oltre al Segretario generale Uilm, Rocco Palombella, anche Fabrizio Famà, Manager HR di LFoundry, Stefano Fricano, funzionario del MiSe, Lino Olivastri di Confindustria e Raffaele Trivilino, direttore del Polo Innovazione Automotive. I saluti istituzionali sono stati affidati al sindaco di Avezzano, Gabriele De Angelis e al Segretario generale Cst Uil Adriatica Gran Sanno, Fabrizio Truono.

IL SISTEMA INDUSTRIALE
“Quando parliamo di quarta rivoluzione industriale dobbiamo pensare che nei Paesi europei, come ad esempio la Germania, è presente da oltre dieci anni – esordisce Rocco Palombella – In Italia sta facendo sentire i suoi effetti in questo ultimo periodo: vuoi per via dell’Unione europea e vuoi perché comunque c’è una parte del sistema industriale che si è adeguato ed è in grado di fare ricerca e sviluppo. Anche se un’altra parte, non indifferente, non ha ancora fatto gli investimenti adeguati per far fronte al cambiamento, spesso vengono a investire in Italia gruppi stranieri, cinesi e giapponesi prima di altri”. Basti pensare alla stessa LFoundry: una realtà da sempre innescata in questo contesto innovativo, altamente tecnologico, su cui però non hanno investito gli italiani, ma i cinesi.

AFFRONTARE IL CAMBIAMENTO
“Il tema che noi ci dobbiamo porre – continua il leader della Uilm – non è capire se siamo a favore o contro questa quarta rivoluzione industriale, visto che siamo quasi nella fase finale della sua applicazione, tant’è che si comincia già a parlare di 5.0, ad esempio il 5G. Il vero tema è: quanto del sistema industriale italiano è agganciato e ha le carte in regola per poter affrontare le sfide di un mercato che ormai è globale?”.
Una domanda non retorica se pensiamo che le caratteristiche del sistema italiano sono quelle di un sistema fatto per lo più da aziende di piccole dimensioni, quindi impossibilitate a fare investimenti e formazione. In alcuni casi persino le grandi aziende sono in ritardo, un esempio per tutti la realtà industriale di Fca rispetto all’auto elettrica.

ALTA SPECIALIZZAZIONE
L’industria innovativa creerà tante opportunità di lavoro, ma saranno richieste figure altamente qualificate. “Quello che mi chiedo ancora – continua Palombella – è se il sistema italiano è adeguato ad esempio per quanto riguarda il sistema scolastico o è ancorato ancora al sistema economico produttivo e terziario del passato? Mentre negli anni scorsi è stato possibile gestire i processi di innovazione tecnologica, perché ci agganciavamo a fasi di sviluppo, per cui la riqualificazione professionale è stata semplice, oggi il contesto è molto diverso, quello di un Paese in difficoltà che non riesce a investire e a generare lavoro”. La ricetta per il leader dei metalmeccanici della Uil si basa su tre pilastri: un modello scolastico che guardi al futuro del sistema industriale, che resta prevalentemente manifatturiero; la formazione continua, sempre più dedicata alla riqualificazione professionale; la necessità di pensare a una ridistribuzione dell’orario di lavoro con una riduzione dello stesso, che deve però partire dall’Europa, in quanto ormai il mercato del lavoro va considerato a livello europeo e mondiale.

FORMAZIONE E WELFARE
L’Ocse dice che sarebbero il 14% i lavori a rischio automazione, e oltre un terzo quelli le cui mansioni cambierebbero notevolmente a causa dell’automazione. A livello nazionale la stima è simile per quanto riguarda i lavoratori a rischio, ma è più alta per le professioni che verranno rivoluzionate dalla tecnologia: più del 50%. Gli economisti però ci dicono anche che questo non significa che i lavoratori verranno sostituiti. Inoltre, i rapporti di lavoro stanno diventando sempre più brevi e sempre l’Ocse stima che 6 lavori su 10 non possano offrire competenze digitali di base, e che entro il 2050 gli over 65 avranno superato la metà della popolazione in età da lavoro. Tutte le attuali ricerche continuano quindi a ribadire con forza che occorre investire in istruzione e formazione per tutti, anche per gli adulti, con forme di protezione di welfare adatte a salvaguardare chi perderà il lavoro o non riuscirà a trovarne un altro.

COMPETENCE CENTER
Un primo passo in questa direzione è quella dei “centri di competenza”. Dopo Genova e Milano, per i quali i decreti erano stati siglati a metà aprile, lo scorso 29 aprile sono stati firmati altri quattro decreti di concessione per l’avvio dei centri di competenza di Torino, Bologna, Padova e Pisa. Mancano all’appello adesso soltanto Napoli-Bari e Roma. I centri di competenza sono poli di innovazione pubblico-privato che hanno come finalità l’orientamento e la formazione delle imprese (in particolare le Pmi) e l’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Ma questo è solo un primo passo.

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