Alstom Siemens: a che punto siamo?

di Luca Colonna 

Quando a settembre del 2017 fu annunciato il progetto di fusione della multinazionale francese Alstom e delle attività di Siemens Mobility, società del colosso tedesco che si occupa di sistemi ferroviari, il presidente francese Macron, allora appena eletto e forte di un notevole consenso elettorale, e la cancelliera tedesca Merkel mostrarono pubblicamente il loro sostegno all’operazione. Nessuno avrebbe scommesso su una bocciatura dell’operazione che attualmente è nella fase di verifica finale con l’Autorità Antitrust europea.

I DUBBI DELLA VESTAGER
Oggi, 17 gennaio 2019, dopo aver letto l’intervista su Il Sole 24 Ore a Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza, probabilmente pochi scommetterebbero contro una bocciatura del progetto. Aggiungiamo a questo che addirittura l’Autorità Antitrust tedesca ha sollevato dubbi sulla fusione e le probabilità che il progetto sia approvato anche se accompagnato da un piano di cessioni a favore dei concorrenti risultano in fortissimo ribasso.
Per i circa 3mila dipendenti di Alstom in Italia in fondo non è una cattiva notizia: le preoccupazioni che il Sindacato italiano aveva manifestato fin dall’inizio, in particolare dopo aver letto nel comunicato dei due gruppi che rendeva pubblica la fusione che per i siti francesi e tedeschi non ci sarebbero stati problemi occupazionali, noi e il resto di Europa abbiamo temuto di essere quelli a cui avrebbero presentato il conto. Del resto, le fusioni sono quasi sempre realizzate per razionalizzare e per concentrare catalogo prodotti e attività produttive.

IL PENDOLINO
Le preoccupazioni poi nell’ultimo mese erano anche aumentate, dopo che le due Aziende nei colloqui con la Commissione europea aveva proposto di cedere le attività Pendolino, oltre ad attività specifiche in alcuni paesi europei e su alcune tecnologie del settore Segnalamento.
La cessione delle attività Pendolino, infatti avrebbe significato da un lato perdere un treno che è simbolo del nostro Paese e dello stabilimento di Savigliano in particolare, ma dall’altro significava separare le attività, le attrezzature, gli impianti e le persone che ci lavorano, tracciando una demarcazione incomprensibile, quasi innaturale, almeno per i siti di Savigliano e di Nola, per poi affidarli a chissà chi?
La divisione avrebbe quindi indebolito dal punto di vista industriale sia la parte che rimaneva nella futura società, sia la parte ceduta e avrebbe esposto in prospettiva i lavoratori a problemi industriali e occupazionali rilevanti.
Per la verità, le preoccupazioni si sono ridimensionate dopo che la stessa Commissione europea aveva comunicato sia pur informalmente alle Aziende che la cessione delle attività del Pendolino non erano ritenute adeguate per autorizzare la fusione per ragioni tecnico produttive e per la difficoltà nel trovare un acquirente interessato e capace a portare avanti progettazione e produzione di quel treno, svolta a Savigliano e le manutenzioni delle flotte ETR600, ETR610 ed ETR675 che si svolgono a Roma San Lorenzo, a Nola e a Venezia.

LA CAUTELA È D’OBBLIGO 
Dunque, tutto è bene quel che finisce bene? Su questo punto ci andrei cauto. Da un lato infatti non è ancora pubblico il parere della Commissione europea e sempre dai giornali leggiamo che i governi di Francia e Germania sono attenti alla questione e fanno pressioni che magari potrebbero spostare qualcosa.
Dall’altra parte e in termini più complessivi la vicenda potrebbe diventare un pericoloso “precedente”, magari da applicarsi ad altre vicende presenti e future, limitando così la capacità dell’Europa di creare e sostenere aziende che possano competere sul piano mondiale con le aziende cinesi, giapponesi e statunitensi. Una politica per la concorrenza eccessiva e miope potrebbe bloccare le fusioni in Europa e rendere in prospettiva le imprese così deboli da essere facili prede di aziende extraeuropee.

 

 

Rosa Pugliese
Ufficio Stampa Uilm Nazionale
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