Parità di genere: prime considerazioni sulla Direttiva europea sulla parità di retribuzione

Si è svolto l’11 gennaio scorso, presso l’Università degli Studi di Roma Tre, l’incontro organizzato dalla Commissione Pari Opportunità di Fim Fiom Uilm sulla Direttiva europea “volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione”. Presenti ai lavori anche il Segretario generale della Uilm, Rocco Palombella.


I RELATORI
Il dibattito si è sviluppato in due parti, mattina e pomeriggio, con l’alternanza di tantissimi relatori illustri come Silvia Ciucciovino, ordinaria dei Diritto del Lavoro, Judith Kirton-Darling, Segretario generale di IndustriAll Europe, Stefania Rossi, vice presidente della Commissione affari sociali BusinessEurope, Elena Poli ed Emilia Recchi, giuslavoriste, Manuela Samek Lodovici, direttrice di ricerca IRS, Lucia Valente, ordinaria di Diritto del Lavoro e Maria Paola Monaco, associata di Diritto del Lavoro.
L’intento della giornata è stato appunto quello di spiegare meglio la Direttiva e capire anche come si posiziona in Italia, nel nostro contesto di riferimento.

L’OCCUPAZIONE DELLE DONNE IN ITALIA
Secondo l’Ufficio Studi della Camera, in Italia nel 2022 sono occupate poco più della metà delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni (precisamente il 55 per cento, rispetto alla media UE pari al 69,3 per cento; cioè 14 punti percentuali in meno). Nel nostro Paese si registra, inoltre, un divario anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni; invece, i maschi occupati sono circa 13 milioni.
I dati sono sostanzialmente confermati dal rapporto ISTAT dell’ultimo trimestre 2023.
Poi c’è il dato più emblematico che spiega, in parte, l’inverno demografico in cui siamo piombati: nel 2022 una donna su cinque dice addio al lavoro dopo la maternità a causa della difficoltà di conciliare le necessità di cura familiare con il lavoro. Un’esigenza, quella della conciliazione, che dovrebbe accomunare madri e padri e che invece resta ancora un problema delle sole lavoratrici. La decisione di lasciare il lavoro è, infatti, determinata per oltre la metà, il 52%, da esigenze di conciliazione e per il 19% da valutazioni economiche.

IL GAP RETRIBUTIVO
Secondo gli ultimi dati Eurostat, in Italia il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5% (al di sotto della media europea che è del 13%). Invece quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43% (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 %). Nel 2022, secondo i dati Inps, la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini
contro 18.305 euro per le donne).
Attraverso la direttiva 2023/970, che sancisce per l’ennesima volta la parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore e il divieto di discriminazione in materia di occupazione e impiego per motivi di genere, l’UE intende ora rendere trasparenti le informazioni sui livelli retributivi e sviluppare strumenti o metodologie, che rendano facile valutare e confrontare il valore del lavoro.

OK UE MA NON BASTA
Basterà la trasparenza a sconfiggere la discriminazione retributiva? “La risposta più attendibile è no”, afferma Valente. “Da un punto di vista strettamente normativo, non esiste una regola di parità di trattamento. Il datore di lavoro è libero di retribuire o trattare in modo diseguale i lavoratori purché queste differenze siano motivate sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere (come previsto dal considerando 39 della direttiva)”. “Ora – aggiunge – si dà il caso che ci siano moltissime ragioni per trattare in modo diseguale uomini e donne a parità di mansioni: le donne se hanno figli o anziani da accudire si assentano di più, non sono disposte a trasferte, a trasferimenti geografici, a lavorare nei giorni festivi o di notte o a fare lo straordinario. Sul piano retributivo, i minimi tabellari sono identici per uomini e donne: nessun contratto collettivo si sognerebbe mai, oggi, di diversificare i trattamenti per sesso, anche se in passato è stato fatto. Ciò che cambia è la parte variabile della retribuzione, ossia i criteri per l’attribuzione di trattamenti individuali, i c.d. ad personam, o le indennità legate a difficoltà o a penosità del lavoro, o a determinati risultati, al titolo di studio o a determinate competenze, l’impegno, la responsabilità, le condizioni disagiate del lavoro”.
Per Valente parlare di parità retributiva per uno “stesso lavoro o per un lavoro di pari valore” senza precisarne i criteri di valutazione (art. 4 dir.) è una finzione: “L’inquadramento e la retribuzione possono essere determinati tenendosi conto anche di elementi diversi dal mero tempo di lavoro o dall’anzianità di servizio. Fattori oggettivi e neutri come ad es. il titolo di studio, la disponibilità alla mobilità geografica, le dimensioni dell’unità produttiva, le competenze/qualifiche possono giustificare le differenze. Quindi è assai probabile che i gap retributivi e di carriera continuino a manifestarsi nonostante il rafforzamento della normativa antidiscriminatoria, perché l’eguaglianza di opportunità sostanziale è cosa ben diversa dall’eguaglianza formale: la prima può avere effetti perfino superiori rispetto alla seconda ma richiede seri investimenti pubblici per la correzione o l’eliminazione delle troppe diseguaglianze di partenza cui abbiamo fatto cenno: molte delle quali non sono neppure eliminabili. Ma questo è un problema che la direttiva non affronta”.

ARMI SPUNTATE
Nel riaffermare il principio della stessa retribuzione per lo stesso lavoro o per il lavoro di pari valore (art. 4), che dovrà essere chiarito dalle legislazioni degli S.M, la direttiva introduce meccanismi di trasparenza retributiva, sia prima dell’assunzione (art. 5), sia nello svolgimento del rapporto: e impone ai datori di lavoro di rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per la determinazione della retribuzione e per la progressione in carriera (art. 6). Ma, come detto, l’enfasi della trasparenza da sola non basta a rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di accedere al mercato del lavoro dalla porta principale.
Un esempio per tutti: in Europa 1 ragazzo su 4 pensa d’intraprendere la professione d’ingegnere o di diventare scienziato rispetto a 1 ragazza su 6; la percentuale di uomini che lavorano nel settore digitale è del 3,1% superiore a quella delle donne e solo il 22% dei programmatori che si occupano d’intelligenza artificiale è rappresentato da donne! Le regole sulla trasparenza non sono in grado neppure di agire sui poteri e sulle libertà datoriali: esse servono semmai a individuare le imprese virtuose che mettono in campo strumenti organizzativi capaci di sviluppare politiche orientate al genere. Lo scopo della regolazione sembra dunque quello di far emergere il fenomeno in modo più crudo ed evidente e suggerire misure vincolanti per incoraggiare le organizzazioni – e quindi le parti sociali (art. 13) – a rivedere le strutture salariali per garantire la parità tra uomini e donne e consentire alle vittime di agire in giudizio per far valere la discriminazione retributiva.
“Tra qualche anno disporremo di dati ulteriori – conclude Valente – probabilmente disaggregati e leggibili, e avremo una maggiore consapevolezza del fenomeno. A quel punto non resterà che verificare se tutte le strategie messe in campo sulla trasparenza retributiva e gli investimenti e le misure per la parità di genere previsti nel PNRR – dagli asili nido alle politiche di orientamento alle discipline STEM, dai meccanismi di reclutamento nella p.a. al rafforzamento di servizi di prossimità per il supporto all’assistenza domiciliare, dal potenziamento delle politiche attive agli incentivi economici per l’occupazione femminile – avranno sortito l’effetto sperato”.

A PARTIRE DA QUANDO SI APPLICANO LE NORME?
La direttiva deve essere recepita nel diritto nazionale entro il 7 giugno 2026. Tali norme dovrebbero inoltre essere applicabili a partire da tale data.

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