Termoli e Bosch: due vertenze emblematiche dì ciò che sta accadendo nel settore automotive

di Gianluca Ficco

La costruzione della gigafactory a Termoli e la vertenza aperta sulla Bosch di Bari sono esemplificative di quanto sta accadendo nel settore automotive, degli effetti sull’industria del passaggio dal motore endotermico alla propulsione elettrica e di cosa stiamo provando a fare come Uilm per salvaguardare lavoratori e apparato produttivo.

GIGAFACTORY A TERMOLI
A Termoli sarà la joint venture ACC, di cui Stellantis è parte, a costruire una fabbrica di batterie da circa 40 gigawattora. Si tratta di una notizia importantissima non solo per i lavoratori di Termoli, oggi occupati in una fabbrica di motori che per sua stessa natura in prospettiva necessita di una riconversione, ma più in generale per l’intero settore dell’auto italiano. Non conosciamo ancora i dettagli del progetto e quindi non possiamo escludere che sorgano problemi nella fase esecutiva e del confronto sindacale, ma in ogni caso l’investimento rappresenta un passo fondamentale nell’adeguamento della catena produttiva italiana verso il processo di elettrificazione imposto dall’Unione europea e dimostra la volontà di Stellantis di continuare a investire nel nostro Paese. Infine il fatto che sull’investimento sia stato raggiunto un accordo col Governo attesta che con la nostra continua azione di pressione abbiamo fatto finalmente breccia verso un Esecutivo che fino a ieri non aveva destinato un euro al settore automotive e che ora invece dichiara di voler stanziare un miliardo l’anno per i prossimi otto anni.

BOSCH BARI
Speculare per certi versi è la vertenza per la Bosch di Bari, stabilimento famoso per aver inventato il Common Rail, che conta ben 1.700 dipendenti e la cui produzione è ancora in gran parte incentrata su due pompe per motori di automobili ad alimentazione diesel. Con l’accordo del 2017 in verità è iniziato un processo di diversificazione, grazie al quale sono arrivati ulteriori 7 prodotti non legati al diesel, che tuttavia occupano appena 350 persone, a cui si aggiungeranno a detta dell’azienda ulteriori 100 nel prossimo futuro. A differenza di Termoli quel che manca, dunque, è una nuova missione produttiva in grado di sopperire al progressivo calo del diesel fino alla sua scomparsa. Per questo come sindacato abbiamo aperto presso il Ministero dello Sviluppo economico un tavolo di confronto che coinvolga anche le Istituzioni, nella speranza che i fondi del PNRR possano essere utilizzati per favorire un’auspicata riconversione e che la multinazionale si decida a chiarire le prospettive della fabbrica anziché limitarsi a parlare di ammortizzatori sociali, in scadenza a fine luglio. Sappiamo che il futuro della industria italiana in generale e del settore automotive in particolare è irto di difficoltà e di pericoli, a cominciare dalla crisi degli approvvigionamenti, ma a maggior ragione dobbiamo cercare di fare sistema sindacato, istituzioni e imprese, per tutelare sia l’occupazione sia le condizioni di lavoro.

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