Il divorzio fra Governo e Stellantis sarebbe una sciagura per l’Italia

di Gianluca Ficco

Sono finalmente iniziati, con Melfi, Torino ed Atessa, i tavoli di confronto fra Governo, Regioni interessate, Stellantis e Organizzazioni sindacali. Una discussione articolata per stabilimento e per distretto industriale era stata una precisa richiesta della Uilm, non tanto per ottenere risposte dalla multinazionale, che potranno scaturire solo da incontri di vertice o comunque arrivare soltanto ancorché i piani industriali siano stati revisionati dai massimi livelli aziendali, quanto piuttosto per focalizzare i problemi, senza più inseguire vaghe chimere politiche o nostalgie di quella che fu la gloriosa Fiat e che oggi ha lasciato il posto a cinque importanti gruppi industriali internazionali, vale a dire CNHI, Ferrari, Iveco e Marelli, oltre naturalmente a Stellantis.

FOCALIZZARE I PROBLEMI
Focalizzare i problemi significa partire dal fatto che con le sole forze sindacali siamo riusciti ad ottenere una missione industriale per tutti gli stabilimenti italiani, escludendo fino ad ora il rischio di chiusure e di licenziamenti, risultato tutt’altro che scontato se solo si allarga la visuale al di fuori di Stellantis e si considera quali sconquassi sta provocando nel settore automotive la così detta transizione all’elettrico. Ma non basta: per rilanciare l’industria dell’auto e superare la delicatissima fase di trasformazione che ci attende, occorre che l’Italia faccia sistema per recuperare credibilità e competitività, serve che i punti deboli del piano industriale di Stellantis vengano modificati e rafforzati, serve che i lavoratori dell’indotto ricevano tutele adeguate, poiché a ben vedere sono proprio loro ad essere esposti ai maggiori rischi occupazionali. Serve in altri termini giocare ad armi pari con le altre potenze industriali, che stanno attirando gli investimenti strategici con politiche industriali imponenti, lauti benefici pubblici e ingenti piani di incentivazione.

INCONTRI AL MIMIT
Nei tre incontri tenutosi nelle giornate di martedì, mercoledì e giovedì, abbiamo chiesto per Melfi la conferma che i futuri modelli della piattaforma medium siano cinque, nonché il prolungamento della produzione dei tre attualmente in produzione, per Mirafiori un modello mass market in aggiunta alla Fiat 500 elettrica, per Atessa investimenti che assicurino la industrializzazione in Italia anche delle nuove motorizzazioni. Similmente per Modena chiederemo l’avvio della nuova verniciatura personalizzata e una nuova vettura sportiva di lusso, per Cassino il completamento del novero dei modelli da sviluppare sulla piattaforma large, per Termoli la piena tutela occupazionale nella operazione di riconversione in fabbrica di batterie, per Pomigliano strategie di lungo periodo, per tutte le altre realtà di meccanica, di ricerca e di staff trasparenza e coinvolgimento nei processi di riorganizzazione. Più in generale chiediamo di non puntare esclusivamente sul full electric, poiché è evidente che l’elettrico stenta almeno per il momento ad affermarsi sul mercato, nonostante i tentativi di imposizione da parte della politica europea e locale. Infine, per i lavoratori delle innumerevoli imprese dell’indotto, chiediamo a Stellantis responsabilità sociale e al Governo meccanismi di effettiva tutela, sia in termini di rafforzamento degli ammortizzatori sociali sia in termini di sostegno agli investimenti per affrontare la transizione. Anche gli incentivi al consumo, in procinto pare di essere varati, dovrebbero a nostro avviso assumere carattere pluriennale ed essere riservati alle auto prodotte in Europa, magari da parte di imprese che hanno un bilancio sociale positivo.

PROPOSTE CONDIVISE
Nelle scorse settimane abbiamo elaborato, in sessioni tecniche presiedute dallo stesso Mimit, proposte condivise fra Sindacati, Istituzioni e Aziende, che hanno l’obiettivo di recuperare i pesanti divari di competitività accumulati dall’Italia rispetto ai competitori internazionali, come ad esempio la diminuzione del costo dell’energia impiegata nei processi produttivi o la riduzione del costo del lavoro con la eliminazione di oneri impropri o la incentivazione degli investimenti finalizzati all’impiego di dipendenti con ridotte capacità lavorative o ancora il superamento definitivo delle limitazioni agli ammortizzatori sociali introdotte dal famigerato Jobs Act, nonché il rafforzamento delle penalità per le imprese che decidono di chiudere o di licenziare. Ci attendiamo ora che almeno alcune delle proposte dei tavoli tecnici siano trasformate in provvedimenti cogenti. Così come ci aspettiamo il pieno sostegno istituzionale alle nostre rivendicazioni verso Stellantis. È questo l’unico modo in cui il Governo può conferire concretezza alle sue dichiarazioni di principio di sostegno alla produzione di auto in Italia.
Su un punto però il Governo ha già appoggiato appieno le nostre rivendicazioni: la richiesta in sede europea, poi accolta, di rinviare il pericolosissimo standard di motore euro 7, che nella versione più fanatica avrebbe di fatto anticipato la fine di gran parte delle vetture benzina già nel 2025. Anche grazie a questo rinvio abbiamo ad esempio ottenuto il prolungamento almeno fino al 2027 della produzione della Panda a Pomigliano.

LO SCIOPERO
Per rivendicare ciò abbiamo scioperato e manifestato a Melfi e ci accingiamo a farlo il 12 aprile a Torino. Ma in qualsiasi sede negoziale o di lotta porteremo avanti una istanza ineludibile: la presenza di Stellantis in Italia va rafforzata e con essa va tutelato l’indotto, possibilmente nell’alveo di una transizione più ragionata e sfrondata dai fanatismi ideologici. Di certo il divorzio fra Governo e Stellantis, esplicitamente minacciato dal Ministro Urso, sarebbe una sciagura per l’Italia, per i 40.000 dipendenti di Stellantis, per gli oltre 250.000 del settore automotive e per la nostra economia nel suo complesso. Le multinazionali possono delocalizzare la produzione purtroppo, la politica può decidere di guardare altrove; il sindacato invece ha il dovere di battersi in ogni circostanza per i lavoratori e non può mai permettersi di dire che oramai non c’è più speranza. Né potrebbe sopperire ad una eventuale cacciata di Stellantis dall’Italia l’arrivo di un produttore cinese, che in ogni caso avrebbe bisogno di anni per insediarsi nel nostro paese. Se qualcuno pensa che per l’automotive, oggi primo settore industriale italiano, non c’è più futuro, come Uilm ci batteremo per smentirlo con tutte le nostre forze.

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