Una contrattazione collettiva forte per il Lavoro 4.0

di Chiara Romanazzi

Si è svolta nelle giornate del 6 e 7 dicembre scorso, a Bratislava, la Conferenza europea sulla contrattazione collettiva organizzata da IndustriAll Europe, alla quale ho avuto modo di partecipare in qualità di responsabile dell’ufficio Internazionale insieme al Segretario generale, Rocco Palombella, e al Segretario nazionale per la contrattazione collettiva, Luca Maria Colonna. 

LAVORO 4.0 
Si tratta di un evento molto importante che si svolge ogni quattro anni. Questa volta il tema principale è stato “Lavoro 4.0: una forte contrattazione collettiva per modellare la digitalizzazione”. Al centro del dibattito il tema della digitalizzazione che ha coinvolto oltre 200 delegati da 31 Paesi europei.
La digitalizzazione rappresenta la maggiore sfida che i sindacati europei dovranno affrontare sin da ora poiché è innegabile che cambierà ancora di più il mondo del lavoro, con conseguenze immediate sul futuro occupazionale dei lavoratori di tutta Europa. A tal proposito abbiamo tutti convenuto sull’importanza che riveste la formazione in virtù dei cambiamenti che l’industria 4.0 può causare: c’è il rischio, infatti, che se i lavoratori non verranno adeguatamente formati sulle nuove tecnologie, perderanno i propri posti di lavoro. Non solo, ma una conseguenza negativa della digitalizzazione che molti lavoratori stanno già vivendo è l’abolizione del confine tra vita lavorativa e vita privata, con il conseguente aumento dell’orario lavorativo non riconosciuto come straordinario, e quindi non retribuito. Infatti, con gli smart phone, i tablet, si è in grado di poter ricevere e inviare email di lavoro in qualunque momento e in questo modo l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata dei lavoratori viene minacciato. Tuttavia, il compito dei sindacati non è fermare la digitalizzazione, ma accompagnare i lavoratori verso una giusta transizione all’industria 4.0.

GLI INTERVENTI
A tal proposito sono stati interessanti gli interventi del vice primo ministro della digitalizzazione slovacca e del Segretario di stato del ministero del Lavoro slovacco. I due rappresentanti del governo ci hanno illustrato gli impegni con cui la Repubblica Slovacca intende fronteggiare la digitalizzazione. Hanno infatti creato una coalizione digitale con il mondo accademico e sociale per preparare i lavoratori ad affrontare le nuove tendenze, elaborando delle piattaforme di discussione contrattuale per adeguare la formazione alle mansioni future, partendo proprio dal mondo scolastico, incoraggiando i giovani studenti ad approfondire le loro conoscenze e capacità digitali.

LA CONTRATTAZIONE
La digitalizzazione però non è l’unica sfida che ci attende. Difatti, si registra dagli inizi della crisi del 2008, una riduzione della copertura contrattuale in Europa, la deregolamentazione del mercato del lavoro, la decentralizzazione contrattuale a livello collettivo e aziendale, la riduzione degli iscritti in molti Paesi e numerose disuguaglianze tra i salari a vari livelli: tra i lavoratori dell’Est Europa e l’Europa occidentale (ad esempio mediamente un lavoratore dell’est guadagna 900 euro al mese in meno rispetto a un lavoratore tedesco), tra i lavoratori nordici e tra quelli dell’Europa del Sud, tra uomini e donne (il gap salariale di genere maggiore si registra in Estonia con una percentuale del 25,3%), e anche tra i lavoratori all’interno della stessa fabbrica tra stagionali e lavoratori con contratto a tempo indeterminato.

IL SALARIO
Si è inoltre registrata una lentezza nella crescita salariale non solo in Europa, ma in tutto il mondo e ciò che ci sorprende è che le economie più lente a livello di crescita dei salari, sono proprio le economie più sviluppate; mentre per quanto riguarda i paesi dell’Est Europa la crescita della produttività non si rispecchia affatto nella crescita dei salari reali, tant’è che se ci dovessimo soffermare a guardare i loro salari, saremmo indotti a pensare (erroneamente) che sono poco produttivi e che devono lavorare di più. Tuttavia, nella maggior parte dei paesi europei la gente lavora peggio di prima che iniziasse la crisi. Nei paesi del Sud Europa, ad esempio, la gente nel 2017 ha guadagnato meno che nel 2010.

L’INTERVENTO DI PALOMBELLA
Al dibattito che si è sviluppato sui temi di questi giorni, ha dato un importante e innovativo apporto la Uilm. Il Segretario generale, Rocco Palombella, ha fatto notare come la crisi abbia trasformato le aziende ridimensionandole. I sindacati, storicamente, sono maggiormente presenti nelle grandi aziende, per cui una volta ridimensionate a causa della crisi è inevitabile il calo della presenza e la perdita di iscritti. Palombella ha quindi affrontato la situazione italiana e il modo in cui i vari governi hanno nel tempo attaccato il contratto collettivo nazionale, considerato l’”ultimo baluardo” del sindacato. “In Italia abbiamo rigettato il salario minimo per legge – ha detto – poiché è una grande insidia: i salari minimi devono essere concordati dai sindacati, se li lasciassimo in mano ai politici perderemmo gran parte del nostro potere, visto che questo si basa proprio sulla contrattazione”.
“La stessa insidia – ha continuato Palombella – si cela nel reddito di cittadinanza che, se dovesse essere approvato, riporterebbe alla luce il salario minimo garantito per legge e non quello contrattato negli accordi collettivi”. Per quanto riguarda, invece, la pressione fiscale sui salari, Palombella ha spiegato che “con il contratto nazionale metalmeccanico abbiamo rafforzato il welfare ed evitato che la tassazione sopprimesse il salario effettivo, garantendo quindi quello diretto”.
Infine, facendo riferimento alle differenze salariali che esistono all’interno della stessa Europa, il Segretario generale della Uilm ha concluso dicendo che “non possiamo continuare a difendere la contrattazione se ci sono ancora queste differenze, dobbiamo assolutamente elaborare una strategia comune europea per ottenere la convergenza salariale in tutti i paesi europei”.

L’ORARIO DI LAVORO
Un altro argomento di cui abbiamo discusso è quello relativo all’orario di lavoro. Nell’Unione Europea l’orario di lavoro sta aumentando senza essere adeguatamente retribuito e l’argomentazione principale con cui vengono chieste le ore lavorative aggiuntive è la necessità di fronteggiare la concorrenza americana e cinese. Inoltre, come accennavo prima, con  l’avvento della digitalizzazione si sta prospettando la condizione di dover lavorare ventiquattro ore su sette giorni. Abbiamo ascoltato alcuni esempi di riduzione dell’orario di lavoro nella contrattazione collettiva da parte dei nostri colleghi europei come, ad esempio, ha fatto l’Ig Metall nel rinnovo del contratto collettivo della regione del Baden Baden quest’anno prevedendo la riduzione dell’orario lavorativo di 28 ore a settimana nell’arco di due anni (a fronte però della riduzione del salario). Insomma, i lavoratori metalmeccanici tedeschi possono scegliere fra lavoro e tempo libero, dovendo però rinunciare a parte del salario nel caso scegliessero la seconda opzione.


IN ITALIA

A proposito dell’avvento della digitalizzazione e della riduzione dell’orario di lavoro, Rocco Palombella ha fatto l’esempio di come, in Italia, nel secondo dopoguerra, le ore di lavoro settimanali erano 48, che poi sono state ridotte e 44 e successivamente a 40 negli anni Settanta.
Con l’avvento dell’automazione, il sindacato decise di ridurre l’orario di lavoro e ora, con l’avvento della digitalizzazione, dobbiamo spingere per una riduzione europea delle ore lavorative, senza però ridurre il salario. “Ridurre l’orario di lavoro a fronte della riduzione del salario è sbagliato – ha sottolineato Palombella – poiché più si riduce il salario più le aziende fanno profitto, più il lavoratore perde potere di acquisto. Riducendo invece l’orario di lavoro senza ridurre il salario si previene il dumping. In Europa abbiamo condizioni di lavoro e approcci diversi, ma dobbiamo essere in grado di lanciare idee e strategie comuni”.
A tal proposito durante questa importante conferenza abbiamo approvato una risoluzione a sostegno del sindacato ungherese che l’8 dicembre si riunisce a Budapest per manifestare contro il decreto legislativo che prevede un aumento di 400 ore di lavoro all’anno, con una compensazione salariale soltanto 3 anni dopo. La risoluzione che abbiamo approvato non dà solo sostegno al sindacato ungherese e ai suoi iscritti, ma chiede al governo del partito Didesz di ritirare l’emendamento.
Nel corso della seconda e ultima giornata di lavori, Palombella è intervenuto per illustrare la condizione dell’Italia e in particolare i primi segnali che arrivano con l’entrata in vigore del cosiddetto decreto dignità. Riducendo i mesi dei contratti a termine da 36 a 24 e le causali, quello che sta accadendo è che, nei fatti, le aziende interrompono i contratti e i lavoratori vengono assunti a tempo indeterminato dalle agenzie interinali. “All’orizzonte anche un altro fenomeno – ha concluso – in alcune realtà si parla di ‘reddito individuale’, tutto questo deve aprire in noi una riflessione, ci dobbiamo domandare come possiamo interagire con i vari governi per evitare che abbiano consensi su temi tipicamente sindacali e come possiamo gestire il reddito, i contratti e gli orari di lavoro? Ancora una volta sono convinto che dobbiamo gestire insieme, in modo coordinato e con azioni concrete, le nuove sfide all’orizzonte”. 

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