Grande adesione allo sciopero nazionale dei metalmeccanici da Nord a Sud

È stata molto alta l’adesione delle lavoratrici e dei lavoratori alle due giornate (il 7 e il 10 luglio) di sciopero generale di 4 ore dei lavoratori metalmeccanici. Lo sciopero, proclamato da Fim Fiom Uilm, ha posto al centro il rilancio industriale, l’occupazione, gli investimenti, la transizione sostenibile e la risoluzione delle crisi aperte.
Fin dall’inizio del primo turno, in tantissime fabbriche i lavoratori hanno incrociato le braccia, fermando la produzione e formando innumerevoli presidi davanti ai luoghi di lavoro e in molti casi davanti alle Unioni degli industriali locali e alle Prefetture. Un segnale forte che, nell’unione di Nord e Sud, diventa ancora più evidente. Il governo ora deve dare risposte, riconvocare rapidamente i tavoli di confronto sui settori metalmeccanici e sulle filiere in difficoltà. Il Governo deve chiarire quali politiche industriali e quanti investimenti pubblici intenda mettere in campo per tutelare l’occupazione, i diritti e il salario delle lavoratrici e dei lavoratori.

TAVOLI DI CRISI
“Da tempo – ha sottolineato Palombella da Torino il 7 luglio – abbiamo cercato di coinvolgere i vari Governi che si sono avvicendati, ma non abbiamo avuto risposte adeguate. Nel 2019 erano aperte al Ministero dell’allora Sviluppo economico ben 149 crisi aziendali che interessavano oltre 200mila lavoratori. Oggi, dopo pandemia e crisi, secondo il Ministro Urso ci sono 34 tavoli attivi e 23 di monitoraggio. Il bello è che non sono diminuite le crisi, hanno semplicemente smesso di considerare quelle che riguardano aziende con meno di 250 dipendenti”.
Nonostante questo, ci sono 70mila lavoratori interessati da crisi aziendali aperte al Mimit, di cui oltre 50mila sono metalmeccanici. A queste si aggiungono almeno 70mila posti a rischio nel settore automotive in caso di mancata gestione della transizione ecologica.
“Il nostro sistema industriale – ha spiegato il leader Uilm – è nelle mani di gruppi stranieri. La siderurgia nelle mani degli indiani, gli elettrodomestici nelle mani di americani e svedesi e l’automotive nelle mani dei francesi”.

AUTOMOTIVE
La filiera dell’auto in Italia interessa oltre 280 mila lavoratori. Negli ultimi mesi stiamo registrando una ripresa della produzione di auto (+15%) ma allo stesso tempo dobbiamo dire che negli ultimi 20 anni c’è stata una diminuzione del 70%, passando da 1,4 milioni a poco più di 400 mila nel 2022. Questo ha avuto ripercussioni sugli stabilimenti italiani e se l’approccio non cambia gli effetti saranno devastanti.

TRANSIZIONE ECOLOGICA
Sappiamo che la transizione ecologica non sarà indolore e che provocherà una diminuzione di posti di lavoro. “Ma dobbiamo dire forte e chiaro – ha ribadito Palombella – che la data del 2035 non è derogabile e riteniamo sbagliato illudere le persone e i lavoratori che quella data possa essere spostata in avanti, con invenzioni di soluzioni alternative come biocarburanti, sintetici o idrogeno che al momento non hanno possibilità di successo. Bisogna lavorare fin da subito per recuperare il tempo perso”.
Mentre in Italia, infatti, si continua a parlare se sia giusta o meno la transizione ecologica, molti Stati europei stanno mettendo in campo corposi investimenti e progetti tecnologicamente avanzati nella decarbonizzazione ed elettrificazione. Negli Stati Uniti si investono oltre 400 miliardi di dollari nel futuro industriale, in Germania 50 miliardi in pochi anni su progetti per settori industriali importanti e in Francia si lancia il progetto di un polo di 48 gigafactory. Nel nostro Paese, invece, si parla di un fondo sovrano da un miliardo di euro.
“Non c’è più pericolo della mancanza di microchip e materie prime dall’Asia come abbiamo registrato durante la pandemia – ha aggiunto il Segretario generale Uilm – ma avremo il mercato dell’auto invaso da macchine elettriche prodotte in Cina, che costeranno molto meno di quelle prodotte in Italia”.

MATERIE PRIME
Per far fronte alla necessità di avere materie prime per la produzione di batterie elettriche, il nostro Governo ha lanciato l’idea la riapertura delle miniere chiuse da oltre 40 anni. “Pensiamo sia una scelta impossibile da fare che fa tornare il Paese indietro di decenni. Non si torna indietro, si deve guardare avanti”, ha aggiunto il sindacalista.  “Occorrono decisioni chiare e investimenti in grado di modificare il nostro sistema produttivo. Dobbiamo ricostruire le filiere produttive. Dobbiamo investire in ricerca, sviluppo e innovazione. Dobbiamo investire in infrastrutture”.

SOLO UN PRIMO PASSO
Per tutte queste ragioni c’è stata un’altissima adesione allo sciopero nazionale. I lavoratori che sono scesi in piazza e hanno organizzato numerosi presidi chiedono un futuro di lavoro e non di assistenza, un futuro che veda la manifattura affrontare e vincere le sfide epocali, certezze per una parte d’Italia che troppo a lungo è stata inascoltata dai Governi. Secondo Palombella, c’è bisogno di meno annunci e più fatti concreti, di tavoli che portino a soluzioni e non siano formalità, di utilizzare ogni minuto a disposizione per cercare e condividere le migliori soluzioni per risolvere le crisi e risollevare l’industria. “Abbiamo perso già troppo tempo, ora il Governo deve agire e le migliaia di lavoratori in sciopero hanno mandato un chiaro messaggio: rilancio dell’industria o continua la mobilitazione. Oggi non è la giornata conclusiva dello sciopero nazionale ma l’inizio di una mobilitazione che ci vedrà protagonisti nei prossimi mesi – conclude – ci fermeremo solo se avremo ascolto, condivisione e risposte concrete dal Governo. Non possiamo più aspettare”.

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