L’Editoriale

Care lavoratrici e cari lavoratori,

è passato un anno esatto dall’inizio del conflitto voluto dalla Russia in Ucraina. Una guerra che noi abbiamo da subito condannato auspicando una risoluzione nel più breve tempo possibile. Purtroppo, invece, si continua a combattere dando seguito a quella che viene definita da molti la più grande tragedia europea dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Uno scontro frutto della volontà di un solo uomo, Vladimir Putin, che il 24 febbraio 2022 decide di cancellare una nazione sovrana dalla carta geografica per imporre al Vecchio Continente la sua idea del Mondo. Se tutto questo a oggi non si è ancora compiuto è grazie alla resistenza degli ucraini: un popolo di oltre 40 milioni di persone che ha scelto di combattere sin dal primo giorno.

Non possiamo essere neutrali di fronte a questo, ecco perché abbiamo sempre sostenuto il popolo ucraino. In questi lunghi mesi abbiamo rivisto gli orrori della guerra, morte e distruzione che credevamo non facessero ormai più parte del nostro tempo. I numeri del conflitto ci feriscono profondamente: sono oltre 21mila i morti e i feriti secondo l’ONU, una stima purtroppo per difetto e nella quale ci sono centinaia di bambini; oltre 18 milioni di ucraini hanno attraversato i confini, intere città oggi non esistono più.

L’esito della guerra non si decide solo a Mosca e a Kiev, ma anche a Washington, in America, Paese fornitore di armi a Kiev per tentare di spezzare l’assedio russo; in Turchia dove Erdogan è diventato unico mediatore sul grano e ha favorito scambi di prigionieri; in Cina dove l’equilibrismo di Xi Jinping non è mai rassicurante; e in Europa, la nostra Europa, che ha in qualche modo superato il primo test sulla tenuta della politica Ue nonostante le difficoltà.

L’Europa continuerà a sostenere Kiev fino alla fine, perché in ballo c’è anche un pezzo della sua libertà e del suo sistema democratico. I pacchetti di sanzioni contro Mosca hanno avuto un impatto importante anche sui Paesi Ue, in Italia ancor di più data la nostra fragile economia e la forte dipendenza emersa nei confronti di altri Stati.

Dopo mesi di inflazione alle stelle, in Italia si registra finalmente una flessione dovuta al calo dei prezzi energetici. Tuttavia, la strada sembra ancora lunga e piena di ostacoli. Il nostro settore metalmeccanico ha risentito fortemente della crisi energetica e delle materie prime, anche per la natura stessa del tessuto industriale italiano. Ci siamo a trovati a gestire numerose crisi, che si sono aggiunte a quelle già esistenti, che si sono unite a sua volta a quelle generate dalla transizione ecologica, che coinvolgono in particolare alcuni settori come l’automotive.

Un tema che abbiamo reso centrale nel dibattito sin dal nostro Congresso nazionale di ottobre e che ha visto recentemente un’accesa discussione tra politici, giornalisti e opinionisti. L’occasione è stata la decisione finale dell’Ue sulla data del 2035 per lo stop alla vendita delle auto endotermiche. L’Italia ha votato contro questa scelta in Europa e il Governo Meloni sarebbe favorevole a un allungamento dei tempi per la gestione del passaggio all’elettrico.

In qualità di Segretario generale della Uilm, ho sempre detto che uno o due anni in più non servono a gestire meglio il problema e che le sfide si affrontano compiendo delle scelte, pianificando le mosse da fare e facendo investimenti strutturali. È chiaro che tutto questo potrebbe avere un costo in termini di posti di lavoro, nella ricerca che abbiamo commissionato a Està e che abbiamo presentato al nostro Congresso si parla di 120mila lavoratori, ma solo prendendo coscienza del problema possiamo provare a risolverlo.

Da una parte la formazione, dall’altra la sperimentazione di altre formule come la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; unitamente a incentivi per l’acquisto di auto elettriche, ricerca e sviluppo sulle batterie per abbattere i costi delle stesse: è possibile produrre una strategia che accompagni la trasformazione. Il cambiamento è già in atto e non possiamo continuare a ignorarlo.

C’è però una precondizione a tutto questo: far fronte comune e lavorare insieme con il solo obiettivo di salvaguardare il nostro grande patrimonio industriale.
Di questo e molto altro parliamo in questo numero di Fabbrica società e non mi resta che augurarvi una buona lettura…

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