Gli spazi confinati non sono tutti uguali

di Andrea Farinazzo

Non è sufficiente etichettare un’area come spazio confinato. Per proteggere i lavoratori e trasformare la sicurezza da obbligo passivo a strategia proattiva bisogna chiedersi che tipo di spazio confinato è e quali pericoli nasconde.

Gli spazi confinati rappresentano una delle sfide più insidiose nel panorama della sicurezza sul lavoro. Infatti, luoghi come cisterne, sili, reattori chimici e reti fognarie sono spesso teatro di incidenti mortali ed è un errore comune trattare tutti questi ambienti allo stesso modo, applicando un approccio unico che si rivela inefficace e pericoloso. La chiave per una gestione della sicurezza proattiva, infatti, una volta definita la classificazione dei luoghi (anche ricorrendo alle previsioni di cui alla UNI 11958:2024), risiede nella possibile classificazione degli spazi confinati in base al livello di rischio, un principio applicato con metodologie diverse in tutto il mondo.

Premesso che la possibile definizione di uno spazio confinato – declinabile in diversi modi a partire da quello di matrice anglosassone (ambiente con accesso limitato, ventilazione sfavorevole e non progettato per la presenza continuativa di persone ove è possibile la presenza di rischi noti) e quello nazionale (spazio circoscritto non progettato e costruito per la presenza continuativa di un lavoratore, ma di dimensioni tali da consentirne l’ingresso e lo svolgimento del lavoro assegnato, caratterizzato da vie di ingresso o uscita limitate e/o difficoltose, con possibile ventilazione sfavorevole, all’interno del quale non è possibile escludere la presenza o lo sviluppo di condizioni pericolose per la salute e la sicurezza dei lavoratori) – rappresenta solo il punto di partenza, è opportuno considerare che un piccolo serbatoio per acqua potabile, pulito e vuoto, e un reattore chimico che conteneva solventi tossici sono entrambi, per definizione, spazi confinati ma, ovviamente, i rischi associati sono drasticamente diversi anche se, riferendoci solo alle problematiche di ingresso/uscita derivanti dalle dimensioni del passo d’uomo, le analogie resterebbero.

In generale, applicare le medesime procedure di sicurezza in entrambi i casi potrebbe risultare eccessivo o, peggio ancora, applicare procedure blande allo scenario ad alto rischio sarebbe sicuramente la via per favorire un incidente. Per questo motivo, le normative e le best practice a livello globale hanno sviluppato sistemi per discretizzare gli ambienti in funzione del rischio associabile.

Il più noto e influente modello è quello statunitense rappresentato dalle norme 29 CR OSHA 1910.146 (norma relativa al settore industriale adottata nel 1993) e 29 CR OSHA 1926.1200 (norma relativa al settore delle costruzioni adottata nel 2015). Norme che introducono una distinzione netta e pragmatica tra:

  • ambienti che soddisfano la definizione di base ma non contengono pericoli atmosferici, di seppellimento, di intrappolamento o altri rischi gravi per la sicurezza e nei quali l’accesso può avvenire con procedure semplificate (Non-Permit Confined Space);
  • ambienti nei quali è presente/possibile una atmosfera pericolosa o potenzialmente tale (carenza/eccesso di ossigeno, gas tossici o infiammabili), oppure c’è del materiale con potenziale di seppellimento (es. granaglie in un silo), oppure presenta una configurazione interna che potrebbe intrappolare o asfissiare un lavoratore (pareti convergenti, pavimenti inclinati, oppure presenta un qualsiasi altro pericolo grave per la salute o la sicurezza riconosciuto (es. rischi meccanici, elettrici, termici), nei quali l’accesso deve avvenire solo a seguito del rilascio di uno specifico permesso di accesso (Permit-Required Confined Space) ed è previsto uno specifico permesso di lavoro scritto (Permit to Work), un monitoraggio continuo dell’aria, la presenza di un assistente all’esterno e un piano di soccorso dettagliato.

Da notare il fatto che l’OSHA ha ritenuto necessario definire due differenti Confined Spaces standard, uno per il settore industriale e uno per il settore delle costruzioni. Quest’ultimo, ha molto in comune con la norma generale per gli spazi confinati del settore costruzioni, ma intende affrontare le specifiche problematiche di sicurezza di questo settore. Stranamente, di tale ovvia distinzione non vi è traccia nell’ambito del dibattito a livello nazionale in cui, invece, è spesso citata in molti documenti una vecchia classificazione proposta dal NIOSH che prevedeva spazi confinati di classe A, B, C, classificazione che è stata sostituita dal sistema più solido, meno ambiguo e legalmente vincolante (per le aziende USA) emanato dall’OSHA (Occupational Safety and Health Administration).

Storicamente, prima dello standard completo dell’OSHA, il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) propose negli anni ’80 una linea guida (quindi non una norma legalmente vincolante) che prevedeva un sistema di classificazione per aiutare i datori di lavoro a categorizzare gli spazi confinati in base al loro livello di pericolo:

Spazio Confinato di Classe A: Era la categoria più pericolosa, definita come Immediatamente Pericolosa per la Vita o la Salute (IDLH). Questi spazi contenevano pericoli che avrebbero potuto causare la morte, effetti irreversibili sulla salute o compromettere la capacità di una persona di mettersi in salvo da sola.

Esempi: Grave carenza di ossigeno (<16%), alta concentrazione di gas tossici o infiammabili, rischio di seppellimento (engulfment).

Precauzioni Richieste: Massimo livello di protezione, inclusa una squadra di soccorso completa pronta a intervenire e un Autorespiratore (SCBA) per chiunque entrasse.

Spazio Confinato di Classe B: Questo spazio aveva il potenziale di causare infortuni o malattie se non venivano utilizzate misure protettive, ma non era immediatamente pericoloso per la vita o la salute.

Esempi: Potenziale presenza di un’atmosfera pericolosa non IDLH, o pericoli non atmosferici come attrezzature meccaniche che potevano essere attivate.

Precauzioni Richieste: Poteva richiedere respiratori ad adduzione d’aria, ma una squadra di soccorso completa poteva non essere richiesta in standby.

Spazio Confinato di Classe C: Questo spazio presentava potenziali pericoli, ma erano giudicati minori e potevano essere controllati con pratiche di sicurezza standard e la sola ventilazione.

Esempi: Un serbatoio pulito con scarsa circolazione d’aria che poteva essere facilmente ventilato per garantire livelli di ossigeno sicuri.

Precauzioni Richieste: Generalmente non richiedeva procedure di lavoro speciali o protezioni respiratorie una volta stabilita la ventilazione.

L’obsolescenza di questa classificazione, sebbene in apparenza logica, oltre al tempo trascorso (circa 45 anni) deriva in particolare da alcuni problemi intrinsechi nel sistema A, B, C che presentava difetti significativi che hanno portato alla sua sostituzione con le classificazioni OSHA.

Problema 1: Troppo Soggettivo e Ambiguo

Il problema più grande era la “zona grigia” tra le classi. Quando uno spazio di Classe B diventa di Classe A? Chi prende questa decisione? Due responsabili della sicurezza diversi potevano valutare lo stesso spazio e classificarlo in modo differente. Questa soggettività è pericolosa, perché una classificazione errata (ad esempio, definire uno spazio IDLH come Classe B) poteva essere fatale. Il sistema si basava troppo sul giudizio individuale piuttosto che su criteri oggettivi.

Problema 2: Le Condizioni negli Spazi Confinati sono dinamiche

Questo è un difetto critico. L’atmosfera e le condizioni di uno spazio possono cambiare in pochi secondi.

Uno spazio di Classe C, ritenuto sicuro con la ventilazione, poteva diventare repentinamente uno spazio di Classe A se una valvola veniva aperta accidentalmente, se si innescava una reazione chimica o se dei fanghi sul fondo di un serbatoio venivano smossi, rilasciando agenti chimici pericolosi aeriformi o se, più in generale, veniva a mancare l’alimentazione elettrica al motore del sistema di ventilazione.

In generale, quindi, il sistema A, B, C implicava un ambiente statico e prevedibile, che è l’opposto della realtà in molti spazi confinati e questo poteva creare un falso senso di sicurezza per gli spazi di “classe inferiore”.

Un ulteriore problema derivava dal fatto che il NIOSH è un’agenzia di ricerca e propone raccomandazioni, quindi, le sue linee guida sono buone pratiche, non leggi. L’OSHA, invece, è un’agenzia di regolamentazione e controllo e i suoi standard sono legge. Quindi nel 1993, come già detto, l’OSHA ha definito lo standard 29 CFR OSHA 1910.146 e questa normativa legalmente vincolante ha sostituito qualsiasi linea guida precedente, incluso il sistema A, B, C del NIOSH, per l’industria generale negli Stati Uniti.

La logica che sottende alla decisione di superare il proposto modello A, B, C si basa su un supposto sistema di valutazione a due fasi, ritenuto più protettivo in quanto logicamente conseguente a specifiche valutazioni da parte di una persona competente (Competent Person):

Fase 1: È uno “Spazio Confinato”?

Innanzitutto, un’area di lavoro deve soddisfare tutti e tre i criteri definiti per essere considerata uno spazio confinato, ovvero deve essere abbastanza grande da permettere a un lavoratore di entrarvi ed eseguire un lavoro, disporre di mezzi di entrata o uscita limitati o ristretti e non essere progettato per l’occupazione continua da parte dei lavoratori.

Fase 2: È uno “Spazio Confinato Soggetto a Permesso di Lavoro” (PRCS)?

Se un luogo viene definito spazio confinato (per quanto abbiamo appena detto), si deve poi determinare se è un “Permit-Required Confined Space” (PRCS) o un Non-Permit Required Confined Space (NPRCS), ovvero se è richiesto o meno un permesso di ingresso. Tale classificazione richiede una valutazione basata sull’esistenza o meno di una o più delle seguenti caratteristiche: contiene o ha il potenziale di contenere un’atmosfera pericolosa, contiene un materiale che ha il potenziale di causare il seppellimento di un entrante, presenta una configurazione interna che potrebbe intrappolare o asfissiare un entrante (es. pareti convergenti verso l’interno), oppure contiene qualsiasi altro pericolo grave riconosciuto per la sicurezza o la salute.

Detto questo, bisogna evidenziare che in molti contesti, il sistema OSHA viene ritenuto migliore in quanto è un sistema binario e protettivo, ovvero se un luogo è uno spazio confinato, o è soggetto a permesso d’ingresso o non lo è. Non esiste una categoria di “pericolo medio” che potrebbe incoraggiare a prendere scorciatoie sulla sicurezza. Se uno qualsiasi dei pericoli elencati è presente o ha il potenziale di esserlo, lo spazio richiede la serie completa di protezioni (permesso di ingresso, test dell’atmosfera interna, addetto alla sorveglianza, piano di soccorso, ecc.). Inoltre, questo sistema tiene conto anche dei pericoli potenziali. La frase “potenziale di contenere” è fondamentale.

Lo standard OSHA costringe i datori di lavoro a trattare uno spazio come pericoloso anche se il pericolo non è presente al momento della valutazione iniziale, riconoscendo la natura dinamica degli spazi confinati (rischio evolutivo). Per quanto riguarda le aziende USA, le normative OSHA sono legalmente vincolanti e, pertanto, le aziende americane (o quelle che si riconoscono nell’applicazione di questo standard), devono conformarsi alle standard 29 CR OSHA 1910.146 / 29 CR OSHA 1926.1200 o affrontare significative sanzioni legali e finanziarie. Per questo, i riferimenti alla classificazione NIOSH non hanno alcun valore ufficiale o legale e non vengono più utilizzati da anni nei programmi di sicurezza formali, formazione o documentazione previsti negli USA in quanto la terminologia attuale e corretta, infatti, si basa sulle definizioni OSHA di “Spazio Confinato” e “Spazio Confinato Soggetto/Non Soggetto a Permesso di Lavoro”.

Tutto ciò premesso, purtroppo in Italia si leggono ancora oggi documenti nei quali sono utilizzati e applicati i vetusti principi della classificazione NIOSH, sostanzialmente trascurando le ragioni profonde che hanno portato alla loro eliminazione da qualsivoglia standard internazionale di riferimento.

Nel nostro paese, l’approccio al tema sicurezza nelle attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati è fondato sull’obbligo, sancito dal D.lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza), di effettuare una valutazione di tutti i rischi a cui il D.P.R. 177/2011, non definendo categorie di rischio, ha aggiunto specifici requisiti per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano in questi ambienti. Nella recente norma tecnica UNI 11958:2024, la ricerca condivisa dal gruppo di lavoro UNI si è focalizzata nello stabilire criteri per la sicurezza delle attività negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, fornendo linee guida per l’identificazione dei pericoli, la valutazione dei rischi e l’elaborazione di procedure operative e di emergenza, al fine di prevenire incidenti e tutelare la salute dei lavoratori.

Anche in tale contesto, non è stata introdotta alcuna classificazione per gli spazi confinati, fornendo tuttavia al datore di lavoro e/o al tecnico esperto un quadro normativo completo e pratico per la gestione dei rischi e la protezione dei lavoratori addetti considerato che la caratterizzazione di un luogo di lavoro in cui andare ad operare, al fine di individuare e implementare le misure minime di prevenzione e protezione, è comunque conseguente alla valutazione dei rischi che il datore di lavoro deve attuare preliminarmente alla pianificazione del singolo intervento e/o alla definizione di specifiche procedure di lavoro.

Detto questo, volendo comunque trovare una proposta di classificazione a livello nazionale, bisogna riferirsi alle linee di indirizzo SGSL-AR di INAIL /CONSEL del 2010 (LINEE DI INDIRIZZO SGSL AR per l’implementazione dei sistemi di gestione per la salute e la sicurezza nelle imprese a rete SGSL-AR) – allegato 3 in cui si tratta la Gestione del rischio di infortuni legati agli ambienti confinati. Nel documento viene proposto un esempio di classificazione (assolutamente esemplificativo, non vincolante e adottabile unicamente solo a seguito di una accurata valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro in collaborazione con le figure previste dal D. lgs. 81/08), finalizzata all’identificazione delle misure minime da adottare per eseguire gli interventi (per la definizione di dettaglio e l’elenco degli esempi si rimanda alla lettura integrale del documento citato).

5.5.1 Tipologia 1

Ambiente sospetto di inquinamento: ambiente a ventilazione naturale sfavorevole (nella valutazione va tenuta in considerazione la presenza di ventilazione meccanica dei locali, atta a garantire idoneo lavaggio del locale), in cui il sospetto di inquinamento non è determinato da sostanze o processi di lavorazione peculiari dell’impresa committente, ma da eventuali infiltrazioni nel terreno causate da perdite di reti di sottoservizi o da gas endogeni. Dopo verifica iniziale con esito positivo, non è ipotizzabile a breve termine (1 turno di lavoro), anche in relazione alle attività da svolgersi, la formazione di atmosfere potenzialmente pericolose per presenza di agenti chimici, mancanza di ossigeno, di atmosfere infiammabili o esplosive.

Ambiente Confinato: ambiente che, pur presentando limitazioni per l’accesso, non presenta ostacoli strutturali/impiantistici tali da impedire il libero movimento, all’interno, delle risorse che vi accedono e tali da impedire la visibilità/contatto diretto con l’operatore /gli operatori.

5.5.2 Tipologia 2

Ambiente sospetto di inquinamento: ambiente a ventilazione naturale sfavorevole, in cui il sospetto di inquinamento è determinato da eventuali infiltrazioni nel terreno causate da perdite di reti di sottoservizi o da gas endogeni, ma non si può escludere il contributo proveniente da sostanze o processi di lavorazione. Dopo verifica iniziale, non può essere esclusa la formazione accidentale di atmosfere potenzialmente pericolose per presenza di agenti chimici, mancanza di ossigeno o atmosfere infiammabili/esplosive, anche in relazione alle attività previste da svolgersi.

Ambiente Confinato: ambiente che, oltre a presentare limitazioni nell’accesso, non consente libertà di movimento all’interno e/o risulta ostacolato/impedito il contatto visivo diretto con l’operatore.

5.5.3 Tipologia 3

Ambiente sospetto di inquinamento: ambiente in cui, indipendentemente dalla possibile sorgente di inquinamento e dopo verifica iniziale, è accertata o prevedibile la presenza di atmosfere pericolose per presenza di agenti chimici, mancanza di ossigeno o presenza di atmosfere infiammabili/esplosive, anche in relazione alle attività previste da svolgersi.

La metodologia sopraindicata, che si ricorda, è solo una proposta e non è richiamata attualmente da alcuna norma tecnica o legislativa, è quella “dell’approccio per blocchi”, ossia un insieme di azioni da introdurre in funzione della tipologia di ambiente confinato che, progressivamente, va da un livello minimo di azioni comuni da adottare per tutti gli ambienti, cui si sommano azioni specifiche all’aumentare del livello di rischio. In generale, si può dire che un approccio strutturato può essere utile per concentrare le risorse (personale, attrezzature, tempo) dove il rischio è maggiore, evitando procedure eccessivamente complesse per lavori a basso rischio e ottimizzando i processi, oltre a garantire una migliore efficienza operativa. Inoltre, obbliga a valutare criticamente i pericoli specifici di ogni ambiente, migliorando la qualità della formazione e la percezione del rischio, dimostrando un approccio maturo alla gestione della sicurezza, fondamentale per la conformità normativa e la tutela legale.

In un contesto di questo tipo, i piani di soccorso sono preorganizzati e adattati alle sfide uniche di ogni categoria di rischio e specifici per ogni tipologia di spazio confinato in cui si deve operare, aumentando così le probabilità di successo di una attività di salvataggio.

Ciononostante, è evidente che solo un approccio sistematico che combini strumenti concettuali per l’individuazione dei pericoli e strumenti operativi per la adeguate gestione dei rischi, associato a idonee procedure operative e di gestione dell’emergenza, può costituire una efficace misura di prevenzione. Se da una parte è evidente che la verifica della qualità dell’aria interna e la garanzia di un’adeguata ventilazione sono basilari, dall’altra la conformazione strutturale di molti ambienti in cui si è chiamati a operare e la presenza di ulteriori rischi specifici (anche solo potenziali) associabili a queste attività necessitano l’applicazione, da parte di persone competenti adeguatamente formate, di specifiche metodiche di analisi e valutazione delle singole fasi operative. Affermata l’importanza sia dell’attività di cooperazione, coordinamento e informazione reciproca delle imprese coinvolte, sia la necessità di verificare che la catena degli appalti e subappalti non porti aziende o lavoratori autonomi a eseguire attività per le quali non sono né preparati né attrezzati, la questione è una sola: bisogna eseguire un’approfondita e corretta valutazione dei rischi, un addestramento efficace, prevedere l’impiego di attrezzature idonee e pianificare sia le attività ordinarie sia gli scenari di emergenza, codificando le operazioni da attuare.

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