di Antonio Rodà
Il territorio triestino vive ormai da anni un progressivo smantellamento di quello che era il suo comparto industriale. Oggi l’incidenza del PIL prodotto dall’industria rispetto al totale dell’economia del territorio è scesa ampiamente sotto il 10%. Pezzo dopo pezzo sono caduti diversi insediamenti industriali con chiusure o riorganizzazioni di storiche aziende del territorio. La progressiva trasformazione del territorio a favore del turismo e della logistica rischia di consegnare la città unicamente al terziario, caratterizzato da una maggiore precarietà del lavoro e salari più bassi se paragonati a quelli dell’industria. In definitiva, stiamo assistendo a un impoverimento generale con le famiglie sempre più in difficoltà nel sostenere i consumi.
IL DOPO WARTSILA
Chiusa la lunga vertenza Wartsila che ci ha impegnato negli ultimi due anni, ora è il turno di Flex ad essere il nuovo fronte caldo del territorio. La multinazionale americana, dopo aver confermato l’uscita di Nokia, principale cliente (80% delle attività) del sito di Trieste al 31/12/24, ha chiesto un ulteriore periodo di Contratto di Solidarietà con un impatto fino all’80% di ore di sospensione. Oggi sono sospesi dal lavoro 302 lavoratori su 350 rimasti in forza. Le pur importanti commesse per Leonardo ed Elettra Sincrotrone non sono in grado al momento di saturare la forza lavoro. Nel frattempo, si è riattivato il tavolo di crisi al MIMIT dove Flex ha annunciato la volontà di cedere il sito a un fondo finanziario di investimento tedesco che risponde al nome di Fair Cap, specializzato in ristrutturazioni aziendali. L’annuncio, oltre ad aver spiazzato tutti (istituzioni comprese), ci ha preoccupato fin da subito a causa della natura finanziaria del fondo.
TRISTI CONFERME
Le perplessità emerse nel primo incontro hanno trovato una triste conferma al tavolo ministeriale dello scorso mercoledì (11 dicembre) quando i rappresentanti del fondo, presenti alla riunione, dopo una fumosa presentazione del loro piano industriale, messi alle strette, hanno dichiarato esserci un problema di esuberi strutturali. Per quanto ci riguarda, è un inaccettabile che Flex cerci di liberarsi di un problema pensando di vendere a un fondo che l’unico scopo di smembrare l’azienda, tenere qualche asset, e lasciare a casa la gran parte dei lavoratori. Anche grazie alle pressioni di Mimit e Regione FVG il tavolo è stato aggiornato a gennaio e Flex inviata a rivedere questo tentativo sbrigativo di passare la mano vendendo a soggetti privi di affidabilità imprenditoriale. Purtroppo, i rumors degli ultimi giorni sembrano confermare che Flex voglia tirare dritto per la sua strada e cedere le quote a Fair Cap. Se questo dovesse essere confermato all’incontro del 28 gennaio, sarebbe un fatto grave e inaccettabile. Bisogna fare di tutto per tutelare un sito strategico, e assieme alle istituzioni, vanno individuate le strategie di sviluppo industriale anche attraverso ulteriori partnership con clienti come Leonardo che possono beneficiare delle competenze tecnologiche dei lavoratori di Flex Trieste così da tutelare appieno l’occupazione. Ma tutto questo non può prescindere dalla volontà di Flex che dev’essere richiamata alle sue responsabilità.
ALTRE CRISI
Oltre alla Flex, questo inizio del 2025 vede la contemporaneità delle crisi di, UBlox (azienda che occupa circa 200 lavoratori nel settore delle apparecchiature per telecomunicazioni mobili) e la Tirso (azienda del comparto tessile con circa 170 addetti). Sono 700 i posti di lavoro a rischio sul territorio. Numeri che rischiano di generare un’ecatombe occupazionale se non ci sarà la capacità di individuare delle soluzioni che tengano assieme industria ed occupazione. Questi sono i motivi per i quali riteniamo si debba dare un forte segnale sul territorio e denunciare una “questione industriale” che rischia di vedere la parola fine sul comparto manifatturiero di Trieste.
Noi a tutto questo vogliamo opporci con il massimo della determinazione. Insieme a Fim e Fiom e Cgil Cisl Uil vogliamo affrontare la questione e non escludiamo di voler replicare una grande mobilitazione cittadina che rivendichi industria ed occupazione cercando di replicare la straordinaria risposta che la città seppe dare in occasione della vertenza di Wartsila.
Siamo dell’idea che è giunto il momento di provare a invertire la rotta di questi ultimi anni e provare a mettere in campo tutte le strategie per attrarre nuove industrie sfruttando i punti di forza del territorio legati soprattutto alla posizione geo politica di Trieste strategica per il nostro paese rispetto all’Europa centrale. Il porto e le attività industriali dovrebbero diventare un tutt’uno capace di generare crescita e sviluppo. Le opportunità ci sono e vanno colte.
Dobbiamo combattere per il nostro territorio ed essere uniti.