Beko. Rinuncia ad aprire procedura di chiusura consente avvio del confronto

Il tavolo Beko del 30 gennaio scorso al Mimit, presieduto dal ministro Adolfo Urso, con sindacati e azienda, aveva sullo sfondo un presidio di circa 400 operai alle porte di Via Veneto. La metà arrivavano dai due siti a rischio chiusura: Siena, con 170 lavoratori mobilitati, e Comunanza, con un centinaio di presenti; altri 100 da Fabriano, una cinquantina da Caserta e da Varese, tra pullman e macchine. E chi non c’era è rimasto con le braccia incrociate fuori dalle fabbriche, per lo sciopero di 8 ore proclamato da Fiom, Fim e Uilm in concomitanza dell’incontro al dicastero con governo e azienda. Al centro, l’emergenza scatenata dal piano di chiusura annunciato da turchi in autunno, che prevede lo stop ai due siti di Siena e Comunanza, il ridimensionamento della fabbrica di Cassinetta (Varese), la chiusura della ricerca e sviluppo di Fabriano. E quasi 2mila esuberi, un taglio drastico, la metà della forza lavoro complessiva della società, che in Italia conta in totale 4.400 occupati. Tuttavia, Beko ha rinunciato ad aprire la procedura di chiusura consentendo l’avvio di un confronto. 

PRESUPPOSTI MINIMI 
“La disponibilità di Beko a iniziare un confronto su un nuovo piano industriale, senza aprire la paventata procedura di chiusura e di licenziamento, costituisce il presupposto minimo per iniziare una trattativa”. Hanno commentato a margine dell’incontro Fim Fiom Uilm. “Tuttavia le disponibilità aziendali sono ancora estremamente generiche. Beko – aggiungono – ha parlato di un piano di investimenti più cospicuo pari a 300 milioni di euro, ha fatto intravedere la possibilità di non chiudere Comunanza e di prevedere un percorso di tre anni per Siena, dove comunque ribadisce la volontà di cessare la produzione. Grazie alla lotta dei lavoratori, Governo e istituzioni locali hanno offerto il loro sostegno a supportare gli investimenti e ad acquistare l’immobile di Siena, garantendone la destinazione industriale. Rivendichiamo che tutte queste prese di posizione si traducano in proposte concrete già nel prossimo incontro previsto per il 10 febbraio. Finché non sarà garantita la continuità produttiva e occupazionale per tutti i 4.400 lavoratori italiani, continua non solo il confronto ma anche la lotta”.



LA CRISI 
La crisi di Beko ha radici profonde: quando l’azienda (posseduta al 75% dai turchi di Arçelik) ha rilevato le fabbriche di elettrodomestici dell’ex Whirlpool in Europa, ad aprile 2024, gli operai italiani erano in cassaintegrazione già da 11 anni. Ma il ‘piano’ per lo Stivale si inserisce in un progetto di riorganizzazione della produzione più ampio, con un progressivo spostamento verso la Turchia, l’Egitto e la Romania. Nel giro di pochi mesi, infatti, Beko ha annunciato anche la chiusura di una fabbrica di asciugatrici nel Regno Unito e di due stabilimenti a Breslavia e a Lodz, in Polonia. È questa la situazione con cui Urso si è trovato a fare i conti. I sindacati, dal canto loro, chiedono da tempo a gran voce alla multinazionale di “modificare radicalmente il piano industriale” e al governo “di intervenire concretamente con tutti gli strumenti disponibili, incluso l’uso del golden power, fino a prevedere l’ingresso diretto dello Stato a garanzia degli stabilimenti, dell’occupazione e di un settore strategico”.

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