Acciaierie d’Italia, ultima chiamata per il Governo: nazionalizzi l’azienda

Il 21 novembre in migliaia tra lavoratori diretti, indiretti, dell’appalto e di Ilva in As hanno aderito allo sciopero in Acciaierie d’Italia. A Taranto stop di 8 ore per ogni turno, di 4 ore invece negli altri siti del Gruppo. La mobilitazione è stata organizzata “per mandare via – hanno spiegato le organizzazioni sindacali – l’attuale governance” a favore “dell’intervento pubblico”.
Nel capoluogo ionico è stato organizzato anche un corteo partito dalla portineria tubificio dello stabilimento siderurgico per raggiungere i lavoratori dell’appalto e proseguire verso le altre portinerie D ed A fino a giungere davanti alla portineria Direzione.

SI ALLA NAZIONALIZZAZIONE
Le iniziative a livello locale fanno seguito alla proclamazione di sciopero di Gruppo da parte delle segreterie nazionali di FIm, Fiom e Uilm, dopo l’incontro di giovedì scorso con il ministro Adolfo Urso, che demandano ai sindacati territoriali l’articolazione della mobilitazione.
A Taranto è la prima di un pacchetto di 48 ore di sciopero e coinvolge anche le categorie multiservizi, edili e trasporto. Non si vedeva da anni uno sciopero così partecipato dai lavoratori dell’ex Ilva e dell’indotto. “Il Governo deve prendere atto del fatto che tutti gli accordi che ha firmato con il Gruppo indiano sono diventati ormai carta straccia per irresponsabilità della multinazionale”, commenta il Segretario generale Uilm Rocco Palombella.  “L’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, che si svolgerà il prossimo 25 novembre – aggiunge – dovrà essere decisiva, ovvero dovrà andare nella direzione di un controllo statale della più grande azienda siderurgica europea. Inoltre, come ho già avuto modo di dire sarebbe sbagliato sbloccare il miliardo senza il ritorno della proprietà dell’azienda nelle mani dello Stato”.

RITIRO DEL TAGLIO DEGLI ORDINI
I sindacati invitano inoltre Acciaierie d’Italia a ritirare “il provvedimento di taglio degli ordini e delle commesse delle imprese dell’indotto (145 quelle interessate)”, mentre “il Governo sia garante di un riequilibrio delle relazioni sindacali all’interno del gruppo Acciaierie d’Italia oggi assenti”. Non c’è più alcuna fiducia in ArcelorMittal e questo è ormai irreversibile dopo anni di cattiva gestione degli stabilimenti: centinaia di ore di cassa integrazione, impianti fermi, rischio per la sicurezza stessa dei lavoratori e produzione ai minimi termini.
“Facciamo tutti parte della stessa nave e remiamo tutti nella stessa direzione: salvare la siderurgia italiana”. Sono state le parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso al termine dell’incontro al Mise del 17 novembre. E sulla nazionalizzazione ha detto: “Non possiamo ovviamente decidere tutto in pochi giorni, dobbiamo considerare tutti i fattori: sono tanti e ovviamente c’è quello produttivo, c’è l’aspetto giudiziario. Sono tanti appunto gli interventi e di varia natura, alla fine con Palazzo Chigi decideremo la strada da percorrere salvando questo sito produttivo”. 

 

MA IL TEMPO È SCADUTO
Non c’è più tempo da perdere, la situazione rischia di degenerare. “Il governo compia un atto di coraggio e difenda a ogni costo i 20mila lavoratori tra diretti, indiretti, dell’indotto e in Amministrazione straordinaria, e il futuro del settore dell’acciaio nel nostro Paese.
Quel che è certo è che noi non indietreggeremo, la lotta continuerà fino a quando non avremo risposte concrete dal governo”, conclude Palombella.

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