Riprendono gli incontri per le crisi aziendali al ministero dello Sviluppo economico

Dopo mesi di silenzio, le scorse settimane sono state scadenzate da diversi appuntamenti al ministero dello Sviluppo economico per tornare finalmente ad affrontare il tema annoso delle crisi aziendali. In un Tweet, infatti, la viceministro Alessandra Todde aveva annunciato un serrato calendario di incontri che hanno avuto il via il 22 aprile con Iveco.

IVECO
All’incontro su Iveco CnhI ha partecipato il Segretario generale, Rocco Palombella, che ha voluto sottolineare come la mancata vendita della società ai cinesi di Faw sia da considerare un fatto positivo: per la prima volta non abbiamo svenduto un gioiello italiano, ma ne abbiamo riconosciuto la strategicità all’interno del panorama industriale.
Vista la disponibilità del governo nel voler contribuire al rilancio e alla salvaguardia del settore dell’automotive, Palombella ha chiesto che vengano utilizzati anche i fondi europei del Recovery Fund nell’ambito non solo dei veicoli commerciali, ma per l’intero asset di Cnh Industrial.
È stata inoltre ribadita a CnhI la necessità di monitorare periodicamente la esecuzione del piano strategico 2020-2024 e di avere un costante confronto sui delicati processi di riorganizzazione in atto.

EMBRACO
Il secondo tavolo di crisi ha riguardato l’ex Embraco e si è tenuto il 23 aprile. Il grave ritardo accumulato nel progetto Italcomp, anche a causa di un tempo incredibilmente lungo nel passaggio di consegne fra il precedente e l’attuale governo, sta aggravando sempre di più la situazione di Embraco e di ACC. Come è noto il curatore fallimentare di Embraco sta proseguendo implacabilmente la procedura di licenziamento, che terminerà il 25 aprile e produrrà la materiale risoluzione dei rapporti di lavoro il 22 luglio.
Nei prossimi giorni tuttavia, anche su pressione delle organizzazioni sindacali, il ministero del Lavoro e la curatela dovrebbero verificare la possibilità di ricorrere a un ammortizzatore sociale conservativo e quindi di sospendere la procedura di licenziamento.
La massima urgenza è richiesta anche dalla situazione di ACC, in amministrazione straordinaria e a rischio di fermo produttivo per problemi di liquidità, nonostante la cospicua presenza di ordinativi.
Urge una forma di finanziamento, dopo che l’Unione europea ha mancato di autorizzare la garanzia pubblica approvata dal precedente governo.

BLUTEC
Il 26 aprile scorso è stata la volta di Blutec e Sider Alloys. Per quanto riguarda Termini Imerese, la situazione resta confusa e estremamente preoccupante, soprattutto se si considera l’imminenza del 16 maggio, data entro cui deve essere approvato il programma da parte del Mise. I commissari hanno informato che per tutte le unità produttive, eccetto quella siciliana, stanno arrivando interessamenti che rendono confidenti sulla possibilità di dare tutela occupazionale ai lavoratori coinvolti, nonostante qualche difficoltà in più relativa alla divisione engineering e il rinvio del bando di Atessa.
Per Termini Imerese, invece, la soluzione ipotizzata dai commissari passerebbe attraverso una cessione dell’intero complesso aziendale a una società di nuova costituzione in mano pubblica, che poi si incaricherebbe di guidare il processo di riqualificazione industriale. Per la  Uilm è fondamentale che si dia tutela occupazionale a tutti i lavoratori di Blutec, ma non si deve escludere la possibilità di una proroga della amministrazione straordinaria anche oltre giugno e in ogni caso la necessità di immediata approvazione della cassa integrazione. La Uilm non accetterà licenziamenti né a Termini né altrove.

SIDER ALLOYS
Purtroppo non ci sono ancora certezze sui tempi di riavvio della produzione di alluminio all’ex Alcoa di Portovesme. Alle difficoltà nel procedere con gli interventi impiantistici si aggiungono quelle legate alle tempistiche per il rilascio delle autorizzazioni ambientali. Al tavolo con la Todde, la Uilm ha chiesto di poter avere un report aggiornato sullo stato di avanzamento dei lavori che a breve raggiungeranno i primi 50 milioni dei circa 145 previsti, comprensivi di contributi pubblici, a fine piano industriale. È evidente che l’azione di monitoraggio deve proseguire per verificare le condizioni per ridurre i tempi di realizzazione degli interventi. Non è accettabile che la maggior parte dei lavoratori dell’ex Alcoa soffra restando ancora fuori dal ciclo produttivo senza avere un orizzonte temporale preciso per la riassunzione e senza percepire con regolarità l’indennità di mobilità, di cui si attende un eventuale incremento sulla base di un emendamento di cui si attende la presentazione. Per questo è positiva la convocazione da parte del viceministro di un nuovo incontro entro il prossimo mese di maggio per il prossimo aggiornamento della vertenza.

WHIRLPOOL
Il 28 aprile al Mise si è parlato di Whirlpool. Il Gruppo ha presentato i risultati del primo trimestre in Europa, riferendo una crescita a doppia cifra dei ricavi, il rafforzamento della posizione nei Paesi chiave e un significativo miglioramento della marginalità anno su anno per il terzo trimestre consecutivo. A fronte di questa dichiarazione è sempre più incomprensibile la scelta dell’azienda di lasciare il sito di Napoli.
È necessario comprendere le prospettive industriali del gruppo in Italia vista la scadenza del piano al 31 dicembre prossimo.
Al governo, che al tavolo ha dichiarato l’impossibilità di far cambiare idea all’azienda sulla chiusura del sito di Napoli, il sindacato ha chiesto l’intervento del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, che deve richiamare la proprietà americana alle sue responsabilità, impedendo alla multinazionale di smantellare gli stabilimenti italiani.

INDUSTRIA ITALIANA AUTOBUS
L’incontro su IIA è stato il 29 aprile. Benché l’azienda stia procedendo con la realizzazione del piano industriale, compresa la internalizzazione delle produzioni prima svolte in Turchia, la carenza di ordini da parte delle Istituzioni pubbliche ne mette a rischio la continuità produttiva.
È il paradosso di una azienda in mano pubblica che entra in crisi proprio perché le Istituzioni pubbliche non ne alimentano la produzione con adeguati ordinativi, peraltro mentre la politica si direbbe impegnata a realizzare una mobilità sostenibile. Se non stiamo attenti, in un settore strategico per il futuro come quello degli autobus, l’Italia perderà l’occasione di rilanciare l’industria nazionale, per poi inevitabilmente importare dall’estero ciò che occorre ai cittadini.
La Uilm confida in un rinnovato impegno da parte del Mise e chiede al governo da una parte di favorire investimenti sulle nuove tecnologie e dall’altra di alimentare e di coordinare i nuovi bandi. Da questo ultimo punto di vista occorre però coerenza da parte delle Regioni, innanzitutto Emilia Romagna e Campania che ospitano i due stabilimenti di Bologna e di Avellino. La Uilm sollecita    quindi la Regione Campania a fare il possibile per attivare la convenzione Consip, poiché sarebbe imperdonabile lasciare i lavoratori italiani e irpini senza lavoro e poi magari acquistare autobus prodotti in Asia.

LFOUNDRY  
Il giorno di LFoundry al Mise è stato il 30 aprile. I sindacati temono una fuga della proprietà cinese, dopo aver svuotato il sito di conoscenza, clienti e processi, proprio ora che il settore dei semiconduttori è stato riconosciuto dall’Italia e dall’Europa strategico, essendo materia prima nelle applicazioni in settori critici come l’automotive, le telecomunicazioni, il medicale, l’elettronica, i trasporti e la difesa.
Assetto societario – Acquisito per entrare a far parte di una IDM, il sito si ritrova invece a essere sempre più fonderia per un gruppo con cui intrattiene rapporti di tipo commerciale attraverso una serie di aziende aumentando la catena di soggetti tra prodotto e cliente e disperdendo il margine di profitto.
Mono committenza – La linea del sito per il suo 80% produce sensori di immagine per un unico cliente storico, il contratto in vigore prevede fornitura fino al 2023. Si lavora con le vecchie commesse, e non sono stati introdotti nuovi prodotti, nuovi processi e nuovi clienti.
Prodotti – Il mix di prodotti non sarà in grado di sostenere i livelli occupazionali, poiché il prodotto power (riempitivo della linea per il suo basso contenuto tecnologico) non garantisce lo stesso profitto ed alternativamente la linea non sarebbe in grado di sostenere volumi a parità di guadagno.
Investimenti – È in atto una politica stringente di riduzione dei costi che mette a rischio la sicurezza delle persone degli impianti e dei prodotti stessi.
Il “saper fare” è stato per 30 anni il motore del sito di Avezzano e il motivo per cui ha tenuto sui mercati; una ricchezza frutto della contaminazione di conoscenza, manualità, tecnica, ingegno e creatività, possibile solo operando nello stesso ambiente e per lo stesso scopo. È in atto un’emorragia di figure professionali altamente specializzate, spesso uniche che non vengono sostituite né rimpiazzate riqualificando personale.
La Uilm ha chiesto al ministro Giorgetti di inserire tra le attenzioni della Cabina di regia per l’internazionalizzazione anche LFoundry e al governo una spinta forte affinché questo sito straordinariamente importante venga incluso dal Commissario Breton tra i siti chiave per la strategia europea dei semiconduttori.

ELICA
Il 3 maggio Fim Fiom Uilm hanno confermato, nell’incontro convocato dal ministero dello Sviluppo economico, la ferma contrarietà al piano di ristrutturazione industriale presentato dal Gruppo Elica. È inaccettabile pensare di recuperare redditività tagliando 408 dipendenti e trasferendo gran parte delle produzioni nello stabilimento di Jelcz-Laskowice in Polonia. Una scelta che Fim Fiom Uilm non condividono in nessun modo.
Il Gruppo aveva già dieci anni fa operato una ristrutturazione del sito con la riduzione dell’organico. Nel frattempo non sono stati fatti investimenti sui macchinari e sulle persone, con la beffa che una parte dei 35 milioni investiti in ricerca e sviluppo hanno sostenuto prodotti che si fanno da anni in Polonia.
Il viceministro Todde ha deciso di tenere aperto il tavolo ministeriale per trovare risposte diverse da quelle previste dal piano circa gli attuali occupati. Si devono trovare soluzioni per salvaguardare i 408 occupati e per preservare il Made in Italy.

BEKAERT
Cattive notizie anche per la Bekaert di Figline Valdarno: tutti licenziati i 120 dipendenti rimasti nello stabilimento fiorentino. Si tratta di un colpo durissimo per un intero territorio, che perde uno dei suoi simboli industriali. Solo tre anni fa l’azienda contava 318 dipendenti e oltre ai 120 lavoratori rimasti dava lavoro a circa 400 persone nell’indotto. La Uilm, insieme anche agli altri sindacati, si pone l’obiettivo di costituire un bacino di lavoratori perché sono le competenze e le eccellenze che possono essere utili a una eventuale futura reindustrializzazione del sito.
Ci sarà da fare una riflessione importante sulla responsabilità dell’azienda anche sul fronte della bonifica del sito. Detto questo, il desiderio della multinazionale di liberarsi dei lavoratori è stato cinico e arrogante: ma non sarà l’ultimo caso, fino a quando non ci saranno leggi in Italia che impediscano la fuga di queste aziende.

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